Quarantuno anni fa, con la Legge 164/82, l’Italia si attestava su posizioni di avanguardia in tema di diritti civili. Promulgata a Ventimiglia il 14 aprile 1982 dal Presidente Sandro Pertini e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 19 aprile, il provvedimento recante normative in materia di rettificazione di sesso, riconosceva alle persone trans una dignità a lungo misconosciuta e poneva fine ad un annoso calvario giudiziario. Una legge fondamentale che ha permesso di riconoscere il percorso di affermazione di genere per le persone trans, ma ancor più di riconoscerne l’identità. A raccontarci l’iter di questa legge e di questo importantissimo traguardo del movimento è Cristina Leo, Assessora alle Politiche Sociali Politiche Abitative e Pari Opportunità del Municipio VII di Roma Capitale, la prima assessora trans d’Italia.
Se abbiamo avuto la legge 164/82 è stato grazie all’iniziativa dei militanti del FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), come ben riporta il caro amico e giornalista Francesco Lepore, nel suo saggio inchiesta “Il delitto di Giarre” (Rizzoli). Prorpio un anno dopo, l’8 giugno 1983, si tenne a Roma, l’assemblea costitutiva del Circolo Culturale Mario Mieli, intitolato all’intellettuale e militante anticonformista morto suicida il 12 aprile precedente. Circolo che nacque (come ci racconta anche Andrea Pini nell’intervista rilasciata ad Aut, ndr) dall’evoluzione del CUOR (Coordinamento Unitario Omosessuale Romano), prima ancora MUOR (Movimento Unitario Omosessuale Romano), nato a pochi giorni dall’omicidio di Salvatore Pappalardo a Monte Caprino (24 aprile 1982): in esso si riunivano le anime del movimento gay della capitale, l’Arcigay di Don Marco Bisceglia, il Narciso (Nuclei Armati Rivoluzionari Comunisti Internazionali Sovversivi Omosessuali) di Marco Sanna, Enrico Giordani, Porpora Marcasciano, e il FUORI di Bruno Di Donato, a riprova che c’era già una matrice comune alle lotte di liberazione che sarebbero diventate nel tempo quelle della comunità lgbtqia+.
La costrizione al bisturi e la sterilizzazione forzata sono state il prezzo che molte persone transgender, soprattutto donne, hanno dovuto pagare per affermare la propria identità di genere.
Nell’ottobre del 1979, infatti, Enzo Cucco ed Enzo Francone del FUORI nazionale avevano scritto un progetto di legge, che sarebbe stato poi presentato a firma di Antonio De Cataldo il 27 febbraio del 1980 alla Camera dei deputati, rischiando però di cadere nel dimenticatoio. Saranno il coraggio e la determinazione di attiviste trans, fra le quali Pina Bonanno, Paola Astuni, Roberta Franciolini, Gianna Parenti, oltre alle quali è doveroso ricordare Roberta Ferranti, che nell’aprile del 1980 avevano costituito il Movimento Italiano Transessuale o MIT (dal 2017, Movimento Identità Trans) a essere risolutivi per lo sblocco dello stallo ed il miglioramento del testo normativo. Questa legge è stata, ed è tutt’ora, una legge fondamentale che ha permesso di riconoscere il percorso di affermazione di genere per le persone trans, ma ancor più di riconoscerne l’identità.
I grandi limiti sono soprattutto legati alla visione binaria della società patriarcale dell’epoca, che ci voleva rigidamente divis3 in maschi e femmine. Non che sia cambiato molto in tal senso. A cambiare sono state invece la costruzione del pensiero e le narrazioni delle persone transgender e non binarie sulla propria identità e sul proprio corpo. La costrizione al bisturi e la sterilizzazione forzata sono state il prezzo che molte persone transgender, soprattutto donne, hanno dovuto pagare per affermare la propria identità di genere.
Dobbiamo ringraziare la giurisprudenza e avvocati come l’avvocato Giovanni Guercio, se attraverso le sentenze dei tribunali la situazione delle persone trans e non binarie è indubbiamente migliorata, nonché le recenti sentenze della Corte di Cassazione del 2015 e della Corte Costituzionale del 2017.
In particolare, la sentenza n.15138/15 della Corte di Cassazione è stata definita di storica importanza proprio contro la “sterilizzazione forzata” delle persone trans. La Suprema Corte, infatti, ha suggellato, il principio formatosi nel corso degli anni grazie ai provvedimenti emessi dai Tribunali Italiani, ossia, la non necessità di modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari per ottenere la rettifica anagrafica del genere e del nome assegnati alla nascita. Per anni le persone trans hanno subito pesanti discriminazioni in tutti gli ambiti della vita familiare e sociale, che ne hanno determinato l’allontanamento da qualsiasi contesto lavorativo che non fosse il sex work. A farne le spese, in passato, sono state soprattutto le donne transgender, quando ancora si usava il termine “transessuale” per riferirsi a loro. Termine ormai desueto che porta con sé i ricordi di un recente passato di medicalizzazione e di psichiatrizzazione.
Le nuove generazioni di ragazzi e ragazze transgender, e fra questi/e le persone non binarie, non portano addosso un fardello cosi pesante come abbiamo fatto noi, ma questo è stato possibile per vari motivi, e grazie soprattutto alle battaglie delle generazioni precedenti che con i loro corpi sono scese in piazza per rivendicare diritti sociali e civili totalmente negati alle persone trans.
Questo non significa che le nuove generazioni transgender non abbiano da affrontare problemi quotidiani, legati allo stigma e al bullismo transfobico o difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. La differenza sostanziale rispetto al passato è che per fortuna, la maggior parte di questi/e ragazzi/e può, oggi, contare sul supporto delle famiglie di origine e di una rete di supporto amicale, associativa, pubblica, che prima semplicemente non c’era, o non era così solida e salda.
E poi c’è la mia generazione, quella delle sopravvissute e dei sopravvissuti, che è pronta a schierarsi al loro fianco, per difenderli/e a tutti i costi. Non c’è niente di sbagliato nell’essere delle persone transgender.
Molto spesso, le persone transgender subiscono una vergognosa spoliazione dei propri diritti umani, civili e sociali nel momento in cui decidono di essere veramente se stesse ed iniziare il percorso di affermazione di genere, un percorso lungo e complesso sia dal punto di vista personale che sociale, che niente ha a che vedere con le superficiali, folcloristiche e transfobiche narrazioni degli ideologi del Gender, che ci vorrebbero maschi e femmine a giorni alterni.
Non siamo ideologia, siamo pura pratica di resistenza alle sopraffazioni quotidiane. Siamo guerriere e guerrieri senza corazza che combattono a mani nude contro i pregiudizi. Il binarismo di genere imposto ci nega il diritto all’esistenza come persone trans, spingendoci ad essere socialmente identificat3 con il genere assegnato alla nascita e non con la nostra identità di genere.
Le leggi italiane, come detto in precedenza, non sono adeguate e viviamo lottando per la nostra autodeterminazione attraverso complessi e iperburocratizzati percorsi medico-psicologici e legali con continue violazioni della privacy e negazioni delle identità, questo nonostante il fatto che “l’incongruenza di genere” sia stata depatologizzata, dall’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità. Infatti, nella pubblicazione del nuovo ICD-11 (sigla che sta per International Classification of Diseases 11th Revision, cioè l’11esima revisione della Classificazione internazionale delle malattie dell’OMS) “l’incongruenza di genere” (diagnosi che viene fatta alle persone transgender se accedono ai servizi sanitari) è stata eliminata dal capitolo relativo ai disturbi mentali ed è stata spostata nella parte inerente la Salute Sessuale, proprio perchè in molti Paesi, fra i quali l’Italia, il percorso di transizione è seguito dal Sistema Sanitario Nazionale. Inoltre, in occasione dell’Assemblea Mondiale sulla salute tenutasi a Ginevra dal 24 al 28 maggio 2019, gli Stati membri hanno convenuto di adottare l’undicesima revisione della classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari connessi (ICD-11), entrata in vigore il 1° gennaio 2022. Tutto ciò ha segnato passi importanti, ma ancora legislativamente non riconosciuti, verso l’autodeterminazione delle persone transgender.
Purtroppo lo stigma che le persone transgender subiscono socialmente e lavorativamente è talmente pervasivo da impedirne quasi completamente l’accesso al mondo del lavoro, soprattutto per le donne transgender. Queste sebbene, alcune persone trans stiano riuscendo ad affermarsi nella libere professioni. Anche se la situazione in parte sta migliorando, grazie al fatto che circolano maggiori informazioni e le famiglie iniziano ad essere più accoglienti e supportive su questo tema, la strada da percorrere è ancora lunga. Nonostante ciò, dal 2000 ad oggi sono circa 73 le persone transgender uccise in Italia, di queste 20 solo a Roma, per la maggior parte, donne, migranti, sex worker. La transfobia non è però solo morte fisica, è anche e soprattutto morte sociale, è invisibilizzazione, marginalizzazione, esclusione. In Italia, ancora oggi, molte persone trans hanno difficoltà a trovare lavoro o a prendere una casa in affitto. La transfobia, non è solo violenza e sopraffazione, ma è anche la negazione di diritti naturali, come quello all’autodeterminazione.
La tutela dei diritti delle persone transgender e dei minori è la mission dell’Associazione Gender X, fondata nel 2018 dall’attuale Presidente Gioele La Valle, associazione della quale sono vice presidente; realtà che ha messo al centro del discorso le difficoltà che incontrano le giovani persone transgender nei diversi contesti, familiare, amicale, scolastico e sportivo. Proprio per questo a Roma il 1 aprile del 2023 si è tenuta una grande manifestazione denominata “Protect Trans Youth” organizzata da Gender X con la collaborazione di altre realtà del territorio romano, per evidenziare, fra le altre cose, l’importanza di adottare le carriere alias all’interno degli istituti scolastici e delle università, di formare il personale scolastico, di tutelare il benessere psicofisico di tutt3 l3 ragazz3.
Che delle femministe che si sono battute per decenni per l’autodeterminazione delle donne, si impegnino a ostacolare l’autodeterminazione delle persone transgender, arrivando perfino a sbeffeggiarle, attraverso il misgendering e sovradeterminandole non riconoscendo l’importanza del loro percorso, è paradossale quanto assurdo.
Non possiamo, infine, dimenticare gli attacchi subiti in questi anni dalla comunità transgender da parte di alcune femministe radicali trans escludenti (Terf). Quello che accade, da circa trent’ anni, è che alcune femministe radicali, parte delle quali lesbiche, forti della loro appartenenza ad un’élite e del loro privilegio di donne bianche, cisgender e benestanti (DBCB), hanno pensato bene di teorizzare sul percorso di affermazione di genere delle persone transgender, appropriandosi di una narrazione che non le apparteneva e che non le appartiene, per giustificare a se stesse la decisione di allontanare, dai loro ambienti radicali e separatisti, le persone transgender. Agli occhi delle Terf, le donne trans, sono ree di non essere “nate donne” e di non poterlo mai essere “realmente” e di voler usare l’escamotage della transizione per appropriarsi dei luoghi e degli spazi delle “vere donne”. Gli uomini trans, d’altra parte, pur essendo “nati donne” sono colpevoli di aver tradito “la sorellenza lesbica” per abbracciare il mondo maschile, scegliendo consapevolmente di poter usufruire di quel “privilegio maschile”, che questa scelta ha comportato. Se da una parte le donne trans vengono quindi ostracizzate per non essere “nate donne” ed essere delle “impostori”, gli uomini trans vengono addirittura considerati traditori della “matria lesbica”, vendutisi al patriarcato. Queste narrazioni, molto fantasiose, se non ridicole, purtroppo, non tengono conto del fatto che l’importante e delicata decisione di intraprendere un percorso di affermazione di genere, per una persona transgender, non sia assolutamente legata né ad un calcolo utilitarista o ad vantaggio personale, né all’acquisizione di un presunto privilegio. Quello che invece è fin troppo vero, invece, è che le persone transgender, nel momento in cui iniziano un percorso di affermazione di genere perdono tutti i loro privilegi precedenti legati all’essere stat3 percepiti come cisgender. Per dirimere ogni dubbio, basterebbe chiederlo a tutte le persone transgender che per seguire la loro realizzazione identitaria, individuale e personale hanno perso famiglia, affetti e lavoro.
Già nel 1949 Simone de Beauvoir, una delle più grandi letterarie francesi, nel suo Il secondo sesso aveva affermato che «donna non si nasce lo si diventa». Il l suo pensiero, quindi, spesso citato da molte femministe storiche, aveva già, in nuce quello di considerare l’essere donna non come un destino biologico ineluttabile ma come un processo di costruzione dell’essere, non ancorato e non ancorabile all’essenzialismo biologista, che per millenni ha costretto la donna ad essere sottomessa e subalterna all’uomo. Sembra, inoltre, surreale e paradossale che delle femministe, molte delle quali lesbiche, vogliano rispolverare il dogma cattolico del “contro natura” per attaccare e denigrare percorsi diversi dal proprio, visto che in base allo stesso dogma anche loro, sarebbero analogamente etichettate come “contro natura”. In Italia, negli ultimi anni, alcune Terf hanno pubblicato vari articoli, anche su quotidiani di diffusione nazionale, nei quali hanno lanciato le loro invettive contro la comunità trans, salvo poi lamentarsi, successivamente, quando le persone trans hanno “osato” rispondere agli attacchi. Quello che è successo, molto più verosimilmente, è che alcune persone transgender si siano dovute difendere dagli attacchi di questa elitè accademica o che abbiano fatto le spese della loro transfobia e transmisoginia.
Il femminismo separatista è stato, in Italia, un’importante esperienza del femminismo della seconda ondata, in passato c’è stato il bisogno di “chiudersi” per proteggersi e “sopravvivere”, ma i tempi sono cambiati, non perché sono le mode a essere cambiate, ma perché sono le persone a essere cambiate ed insieme alle persone sono cambiati i loro bisogni ed i loro desideri. Altre identità subalterne al patriarcato, come quelle LGBTQIA+, hanno deciso di ribellarsi al sistema patriarcale, di prendere la parola e di rivendicare il proprio diritto all’autodeterminazione. In sintesi, che delle femministe che si sono battute per decenni per l’autodeterminazione delle donne, si impegnino a ostacolare l’autodeterminazione delle persone transgender, arrivando perfino a sbeffeggiarle, attraverso il misgendering e sovradeterminandole non riconoscendo l’importanza del loro percorso, è paradossale quanto assurdo.
La pratica femminista dell’autocoscienza, del “partire da sé”, mi impone di parlare per me stessa, non per le altre e gli altri, ma semmai insieme alle altre e agli altri. L’essenzialismo biologista che riduce tutto al possedere determinati genitali interni ed esterni è riduttivo. Le persone transgender sono un universo di individualità e di modi altri di vivere la propria unicità, così come le persone cisgender. Incastrare gli esseri umani in stereotipi è veramente difficile se si osserva, realmente, la varietà e la complessità degli individui, e soprattutto se si entra in relazione con ess3.