“Mario Mieli aveva intuito negli anni ‘70 che la lotta avrebbero dovuto portarla avanti le donne, i neri e gli omosessuali. In effetti, dopo quasi cinquant’anni stiamo ancora qui che ci proviamo. Oggi viene considerato/osannato in quanto esemplare protoqueer. Queer prima del queer, transfemminista prima del transfemminismo, postmoderno prima del postmoderno. Più che contemporaneo, un antitemporaneo”. Antonia Caruso, scrittrice, sceneggiatrice di fumetti e direttrice artistica del festival di cinema trans Divergenti, ha tratteggiato per noi un suo personalissimo ritratto, irriverente, ironico, punk, di quel Mario Mieli di cui portiamo il nome da 40 anni. Un Mario Mieli eccessivo ma mai eccedente.
Chissà se a Mario Paolo Mieli avrebbe fatto piacere diventare mariomieli martire, eroina, poeta (forse poeta sì, lo era già), stencil. Fosse ancora vivo forse avrebbe aperto un suo ashram, teso com’era verso dell‘amore e del sesso (non prima di qualche passaggio al Maurizio Costanzo Show a litigare con Aldo Busi e Carmelo Bene, solo per prenderci per il culo) o forse verso l’amore e il sesso, determinativi, specifici. Era pur sempre nei vent’anni, come se adesso invece li ascoltassimo. Al peggio avrebbe trovato una nicchia in un cattolicesimo rurale come il Ferretti (Giovanni Lindo, non René) o in uno apocrifo e tantrico che probabilmente nemmeno esiste ma è bello immaginarlo.
Alla fine Mieli lo conosciamo ancora troppo occidentale. Non ha avuto il tempo di districarsi, ma ce l’avrebbe fatta. Le sue basi teoriche erano le più saldamente occidentali di quei tempi andati che furono. Idee diffuse, anche elitarie (più per il linguaggio che altro) come il comunismo più sincero di Marx, la psicoanalisi e l’alchimia (cosa tra questi fosse elitario e cosa no non sta a me dirlo), da qui poi avrebbe potuto prendere il largo. Difficilmente Mieli avrebbe potuto coniugare una politica identitaria dei diritti con la rubedo. Ross*, come il comunismo. Non un comunismo coi baffi, uno glabro, liscio, sessualmente consapevole, non molto maschio. Cosa ne potevano sapere i partiti della pansessualità?
Non avevano senso i diritti senza una lubrica e lubrificata liberazione del proprio desiderio omosessuale. E come avrebbe accolto Mieli quel Partito dell’amore (non l’altro)? Avrebbe apprezzato per quella mossa anti-istituzionale e poi catturato qualche pornoscintilla e cercato di bruciare le urne elettorali e le code divise per genere? O si sarebbe sdegnato per l’eterosessualità imperante di quel tipo di porno? Perché non è mai avvenuto che duettassero Mario Mieli e Moana Pozzi (anche se nessuno le avesse viste, basterebbe saperlo)?
Mieli aveva intuito che la lotta avrebbero dovuto portarla avanti “le donne, i neri e gli omosessuali”. In effetti dopo quasi cinquant’anni stiamo ancora qui che ci proviamo, ché nel mentre e il riflusso e la televisione e il terrorismo e comunque gli uomini eterocis e la politica e comunque ancora è una prospettiva dirompente. Oggi viene considerato/osannato in quanto esemplare protoqueer. Queer prima del queer, transfemminista prima del transfemminismo, postmoderno prima del postmoderno (forse coevo). Più che contemporaneo è antitemporaneo. Ne dovremmo ammirare il rinascimentale passo lungo più che la lungimiranza verso quello che ora noi pensiamo debba essere l’orizzonte politico e di senso: il queer, il transfemminismo. È più facile da assumere in qualsiasi sua contraddizione se coincide con il presente e il futuro che crediamo decenti.
Senza avere la certezza che una volta che il queer fosse diventato egemone (si fa per dire egemone, si scherza) Mieli avrebbe voluto starci ancora.
Aveva tutta una tensione verso il femminile, che fosse una zeppa, un rossetto o una parte nascosta, ostracizzata del sé. Finora ho usato il maschile, ma perché poi? Mieli si considerava transessuale.
Teorizzava e probabilmente avrebbe incarnato un’androginia, anzi una ginandria alchemica più che un transessualismo (o una transessualità? comunque entrambe suonano così sbagliate ora), usando meno ermafroditismo, che sa di proiezione di maschi esoterici non consapevoli di essere criptotrans e l’oro lo cercavano fuori da sé, invece di trasformare la bijoutteria in oro vero.
Senza dimenticare una grande attenzione verso il cazzo, come merce e come godimento. Per fortuna che il cazzo è proprio tra le cose che non diventeranno mai davvero una merce del capitalismo. Non il fallo, non la maschilità, il cazzo proprio. Mentre la vendita della maschilità è palesemente una pantomima o comunque una palese presa per il culo, la vendita della femminilità è segretamente propedeutica a valorizzare l’utero (solo in un secondo momento, prima lo charme). Il cazzo nel momento in cui diventa visibile e osservabile nei vari stadi del suo essere e del suo apparire (com’era il pisello di mariomieli, era circonciso? è disgustoso chiederselo?). D’altronde senza un pene come si può (edu)castrare?
Oggi abbiamo capito che la cultura non sarà né rivoluzionaria né economicamente sostenibile senza della pila da fuori, diventata com’è l’asso pigliatutto delle politiche comunali (dalla sagra del biscotto pucciato alla Turandot con ologrammi e poltrone vibranti). Nel 1977 era ancora tutto possibile nonostante le reazioni avverse fossero decisamente inconcepibili in quanto facenti strutturali della stessa realtà. Per togliersi di dosso il fascismo e i partiti e anche il ‘68 stesso, lo sforzo da fare era notevole, per immaginare altro ancora di più. Anche Mieli credeva in un teatro politico e rivoluzionario (anche Valerie Solanas ci aveva provato), qualcosa che poteva essere eversivo, che costava sicuramente meno del cinema (scrisse una sceneggiatura di un film che mi sembra di aver visto milioni di anni fa in un cineclub romano), aveva quella dimensione comunitaria che piaceva, tutta schiamazzi, fervore e boutade. Per dire che la performance di genere poteva avere una struttura e una narrazione più solida di una vita vissuta che va un po’ come capita.
Nonostante la massiccia presenza psicoanalitica, poi, non si aveva ancora estrema contezza del fatto che liberare la sessualità e liberare il desiderio non avrebbe fatto affiorare i peggio traumi e le peggio, come si diceva un tempo, nevrosi. Bisogna andarci piano. Era e rimane una naïveté quella di scatenare un perverso polimorfo non problematico e non, come si dice ora, triggering. E Mieli paranoico e schizofrenico (vorrei vedere voi al posto suo, a provocare il mondo), Mieli elitario, borghese, Mieli suicida, che ce ne facciamo? Ricordiamoci di mariomieli come esagerata, lungimirante, eccessiva (non eccedente), critica, criptica, teneramente marxista, curiosa, impaziente.