NORD, Milano
D’amore si muore, Milva (1972)
Ho visto un uomo morire. Per questo mondo storto che voleva fare bello. Per l’odio della gente che lo guardava passare, gli sorrideva e poi sussurrava. Per suo padre che amava e sua madre che lo tormentava. Per l’amore che cercava e non trovava. Condividevamo una stanza affacciata su via Farini, a nord di Milano, un bagno con doccia e un angolo cottura. Ci svegliavamo tardi: io alle dieci se puntando tre sveglie, lui aspettava il mezzogiorno. Mentre pranzavo, beveva un caffè al ginseng con zucchero e fumava tre sigarette al mentolo. Poi tornava a dormire e io a studiare storia dell’editoria italiana. Lui andava in palestra, io a camminare. Lui provava ogni dieta trovata su TikTok, io le nuove proposte di panini del Mc all’angolo. Lui chattava con sconosciuti che poi incontrava nello scantinato di casa, io disattivavo le notifiche di ogni social e pure WhatsApp. Lui un giorno si è legato una corda rossa al collo e si è appeso al soffitto, io l’ho trovato. Aveva ventotto anni. Il sabato sera indossava un vestito di raso nero aderente sui fianchi, un paio di tacchi numero quarantaquattro, e in capo la parrucca bionda, fresca di piega, inamovibile per gli ettolitri di lacca che ci spruzzava sopra. Si faceva chiamare Mery e cantava Milva.
È morto un martedì, giorno di mercato in quartiere.
SUD, Manduria
Un tempo piccolo, Franco Califano (2005)
Ho visto un uomo ballare. Per le strade della Puglia, tra le genti, e cantare al vento, allegro, versi di Califano. L’ho conosciuto in spiaggia. Ci hanno presentato amici in comune, i librai che mi avevano invitato lì per parlare del mio ultimo libro, poco riuscito ma comunque piaciuto. Aveva il nome di mio zio e la stessa barba che il tempo iniziava a sporcare di bianco. Mi ha chiesto cosa leggessi, gli ho detto Màrai e gli ho chiesto di berci una birra. Bevevamo e parlavamo camminando lungomare, fino ad avere i polpacci pesanti. Allora mi ha invitato a cena, in un ristorante del centro gestito da familiari. Lì mi ha offerto gamberi da mangiare a crudo e orecchiette, abbiamo bevuto vino rosso e fumato tantissimo. Poi si è messo a ballare e cantare e mi ha trascinato con lui e gli altri in mezzo alla via. Ho dormito da lui, abbiamo fatto sesso e l’abbiamo fatto male, da disordinati e impulsivi, forse un po’ affamati. Poi si è addormentato sul mio fianco e io mi sono addormentato con una sua camicia addosso. Il mattino mi ha offerto un caffè e accompagnato alla porta.
EST, Venezia
Ho visto un uomo piangere. Per le calli veneziane e lungo i canali, sulle mie spalle e nascondendo il viso tra i cuscini del mio letto. L’ho visto piangere perché aveva perso un amico. L’ho visto piangere sulle scale che portano all’ingresso della stazione di Santa Lucia vedendo quell’amico partire per non tornare più. L’ho visto piangere confidando all’amico, una notte, chiusi in bagno a levarsi di dosso vomito e alcool, che non potevano essere altro, non voleva rovinare l’amicizia, non poteva, non riusciva a vederlo in nessun altro modo. Lo riempiva di scuse e carezze e gli mentiva. La verità è che non gli piaceva abbastanza ma non è riuscito a dirglielo né quella notte né mai. Ho visto un uomo che era ancora un ragazzo, nemmeno: un bambino – ho visto un bambino piangere perché il suo amico non c’era più. L’ha cercato sotto i letti e negli armadi, ha chiamato il suo nome, riascoltato le canzoni che ballavano, rivisto i film che guardavano, ha preparato un piatto di gnocchi al ragù per lui, apparecchiato il tavolo per due, l’ha aspettato e pianto. Poi un giorno, in università, ha incontrato un ragazzo basso, dal mento pronunciato, e ha dimenticato l’amico perduto.
Ha dimenticato il mio nome, il mio taglio di capelli, non ricorda il mio numero di scarpe, la mia taglia di camicia, non sa più nulla di me, eppure un giorno ci conoscevamo.
OVEST, Biella
Balla balla ballerino, Lucio Dalla (1980)
Ho visto un uomo nascondersi. Dietro cravatte e completi a doppio petto. Tra le parole di un padre severo. Dentro i sogni di altri. Ci siamo ritrovati cresciuti nel paese dove eravamo nati e dove ci eravamo conosciuti. Entrambi con una laurea alle spalle e il futuro davanti, annebbiato. Mi ha chiesto di raggiungerlo sotto i portici del teatro per un caffè. Abbiamo parlato della sua ex fidanzata che era una mia amica, mai più vista dopo il diploma. Gli ho chiesto cosa volesse fare da grande e mi ha detto che non lo sapeva ancora, l’ha chiesto lui a me e gli ho risposto che non l’avrei saputo mai. Era abbronzato e portava i capelli castani lunghi, fino alle spalle. La notte mi ha scritto chiedendomi se fossi fidanzato, gli ho parlato di un ragazzo che frequentavo a Milano. Poi mi ha invitato da lui, per pranzo, il giorno seguente. Mi ha baciato sulla porta d’ingresso, senza nemmeno farmi entrare. Abbiamo fatto sesso sul divano, sul tavolo della cucina, sul suo letto e dentro la doccia. In tutta casa riecheggiava Lucio Dalla. L’abbiamo fatto di nuovo il giorno dopo e quello dopo ancora. Lui mi chiedeva foto di me nudo, io gliele inviavo e mi rispondeva mandandomene di sue, anche lui nudo e duro. Ci vedevamo e non parlavamo. Poi un pomeriggio sudati, sdraiati a terra, in salotto, mi ha fatto promettere di non parlare a nessuno di quel che stava succedendo. Mi ha raccontato della ragazza che aveva a Milano, di quella che teneva a Roma, di quella che frequentava ogni volta che andava al lago. Io l’ho baciato, gli ho morso il collo e una spalla, poi l’ho preso da dietro, gli ho stretto i capelli scuri e gli sono entrato dentro.
CENTRO, Roma
Ho visto un uomo. Ha gli occhi verdi di sua madre, le mani grandi del padre. Gambe lunghe e magre, il petto villoso. Ha paura che gli cadano i capelli, che gli si increspi il viso sulla fronte e ai lati degli occhi, ha paura di dimenticarsi i nomi degli attori che recitano nei film che più gli piacciono, e il cognome del regista e del direttore della fotografia, la data di uscita e il titolo del pezzo più famoso della colonna sonora. Mangia tanto senza ingrassare e dorme male, meglio quando condivide il letto con un’amica, un conoscente o sua sorella passata in città a trovarlo. Vive a Roma Est. Ha un gatto che a volte scappa e non vede per giorni, poi torna e allora gli apre una scatoletta di tonno in scatola sul davanzale della cucina. Quando esce con gli amici chiede loro: «Cosa faremo da grandi?», loro rispondo: «Ma ancora?». Poi qualcuno gli allunga una canna, bevono gin tonic, parlano dei pezzi di cultura su cui stanno lavorando per riviste online da cui non verranno pagati mai. Parlano di loro e degli altri, di chi ce l’ha fatta, di chi lavora nel marketing, di chi ha figliato, di chi è stato tradito. Parlano dell’ultimo film di Greta Gerwig, del femminismo, della schwa. Del rincaro del gas. Poi si lasciano: due baci sulle guance e un abbraccio stretto. L’uomo torna a casa, si spoglia, si lava i denti, fa pipì. Cerca il gatto in cucina e in salotto, sotto il letto della camera e nello sgabuzzino. Non c’è. Si sdraia a letto, guarda al soffitto. Legge qualche pagina di Roth, un libro che gli aveva regalato un ragazzo che ha frequentato per un po’ a Milano. Sottolinea a matita una frase che dice: Il segreto è stare in quel momento, senza badare al resto e senza avere idea di dove andrai dopo. Poi chiude il libro e gli occhi. Non ha bisogno di impostare la sveglia, negli anni il sonno si è fatto leggero e ormai si alza sempre alle sette senza che nessuno lo chiami più.
[Foto Mirta Lispi]