Lo sapete che la categoria no fat è una delle più utilizzate sulle app di sex-dating? Il tabù del grasso è un tema feroce, velenoso e invisibile come il cianuro. Il corpo grasso è il nemico numero uno di qualsiasi parvenza di serenità perché nessuna persona al mondo vorrebbe mai inciampare dentro a questa terra di corpi che nessuno vuole vedere, nemmeno gli altri corpi che in quella terra gravitano in modi diversi e tempi diversi. La scrittrice e antropologa Giulia Paganelli – EvaStaiZitta sul suo seguitissimo profilo, – ci propone una sua analisi lucida, spietata e cruda sulla rappresentazione del grasso nella comunità LGBTQIA+.
C’è stato un momento preciso in cui tante delle cose lette, studiate ed elaborate negli ultimi dieci anni si sono incontrate creando non universi e protostelle, ma vuoto e silenzio. Di solito quando le realizzazioni si palesano davanti ai nostri occhi è difficile ricordare una data perché si sviluppano in un lasso di tempo senza bordi netti, solo qualche pezzo di carta velina a sancire un prima ipotetico e artificialmente stabilito.
Ma io una data questa volta la possiedo ed è per me sorprendente perché mi permette di mettere una boa di segnalazione, qualcosa che possa in effetti dirmi tutte le volte da qui, baby, le cose cambiano.
Il 27 gennaio 2023 esce l’album Gloria di Sam Smith, celebrato dall’uscita del singolo I’m Not Here To Make Friends, brano prodotto da Calvin Harris. Fanbase e mondo pop sono in agitazione perché questo album è un manifesto identitario, sulla carta potentissimo per tutte le fluidificazioni finalmente arrivate nel dibattito pubblico (e noiosamente generazionale) tra genere e sesso, dove il primo è infinito e culturale, mentre il secondo rigidamente biologico e dittatoriale.
In un orizzonte sociale in cui ancora al binarismo affidiamo la definizione delle persone, il coming out del 2019 di Sam Smith come persona non binaria permette di allargare il discorso, renderlo accessibile e alla portata di tanti livelli diversi.
Così, dicevo, il 27 gennaio 2023 esce il singolo con video annesso e la reazione che si espande come un virus alla velocità della luce è di shock, disgusto, scudi alzati e forche impugnate, roghi preparate e pire già pronte a colonne di fumo che possano vedersi da molto lontano. Le reazioni violente non arrivano solo dal pubblico mainstream, dal mondo eteronormato diciamo, ma dalla stessa comunità che, inorridita dal poter essere accostata a quel corpo manifestato, prende immediatamente le distanze con quelle classiche esternazioni da boomer come va bene il libero arbitrio ma così si rischia di far passare questa esagerazione come normale, con quella spocchia tipica di chi indossa un lasciapassare che gli permette di stare sul divano sereno a giudicare chi, per esempio, viene menato per strada perché potevano pure non prendersi per mano. Il problema, però, non erano il mantello di diamanti, il bustino con le stecche di balena, le guepiere, gli stivali con plateau e tacco, il trucco, gli orecchini, il sorriso, l’armocromia, ma solo ed esclusivamente il suo corpo. Certo, nelle prima ore c’è stato quasi un depistaggio sul visual queer, ma quanti esempi – compresi quelli queer baiting – ci sono stati prima di lui? E perché nessuno ne ha mai fatto una questione di corpo ma solo di appropriazione, quando qualcosa è stato reclamato? Ancora, il codex queer è stato negli ultimi tempi un’interessante deriva stilistica, sia fashion che musicale, indossata come fosse un travestimento e non una rivendicazione autodeterminata di sé, ma nemmeno lì siamo rimasti così disturbati e turbati dalle rappresentazioni. Cosa ci ha disturbato così tanto di Sam Smith in quel video? La risposta è tanto semplice quanto lapidaria: indossa un corpo grasso, small fat per gli addetti ai lavori, ma grasso. Sulla forma del corpo fanno un frontale tanti livelli stereotipati che riguardano corpi e identità, strutture in cui ci inseriamo per sentirci al sicuro, ma anche per rivendicare quel nostro corpo costantemente messo al margine dalle regole eteronormate, la nostra partecipazione al gruppo sociale, la nostra presenza intesa come capacità di occupare uno spazio e di utilizzarlo, ma anche la zona di comfort che cerchiamo di ritagliarci perché ci hanno pur sempre educato a non pretendere mai nulla, figuriamoci a poter essere tutto quello che siamo senza dover fare delle rinunce. Così, il corpo grasso diventa il nemico numero uno di qualsiasi parvenza di serenità perché nessuna persona al mondo vorrebbe mai inciampare dentro a questa terra di corpi che nessuno vuole vedere, nemmeno gli altri corpi che in quella terra gravitano in modi diversi e tempi diversi.
La grassezza – che da una parte ci fa spaventare a morte se ingrassiamo, ma dall’altra produce in noi rabbia, sgomento e disgusto nei confronti di chi grasso è già – agisce in modo silenzioso come una ghigliottina: preciso e secco, lo sguardo sociale esclude qualsiasi sfumatura o sfaccettatura della tua persona se appari grass*. In una situazione come questa, dunque, in cui la manifestazione visiva di Sam Smith miscela tanti elementi avversi agli stereotipi che vivono e sopravvivono ancora nel nostro sistema culturale, la violenza verbale, le minacce di morte, il mancato appoggio della comunità sono innescate da un’estetica non rispettata per poter tenere al sicuro la queerness consentita così come la stiamo raccontando – raccontando, non rivendicando.
Il tabù del grasso è un tema feroce, velenoso e invisibile come il cianuro. Possiamo, solo se abbiamo il palato adatto, avvertire a volte un retrogusto di mandorla o magari un odore dolciastro, ma di solito si individua quando è troppo tardi. I corpi grassi anche nella comunità, a parte per una parentesi bears ma che comunque ha dei dictat estetici da rispettare in ogni caso, non sono ammessi. Me lo racconta spesso il mio amico F. che mi mostra come la categoria no fat sia una delle più utilizzate su grindr. Me lo raccontano anche le donne che incontro e che mi dicono, involontariamente, che sono troppo femminile per il corpo che indosso, che dovrei spogliarlo dei capelli lunghi, avere meno seno, non truccarmi o cercare di indurire i lineamenti perché se voglio esistere come persona bisessuale all’interno della comunità col mio corpo devo inserirmi per forza in un gruppo annullando il principio di autodeterminazione e sottostando alle regole del gioco. Mi chiedo, spesso, quale sia il divertimento se più che ludico sembra una guerra tra cani randagi che trovano un brandello di carne per terra e se lo litigano, reiterando e fortificando le dinamiche del branco da cui cerchiamo tutti di scappare. Mi chiedo come, nel 2023, sia possibile modificare le regole e cambiare rotta. Mi rispondo che l’unico modo, davvero l’unico modo, è parlare insieme di corpi e delle intersezioni che si generano tra tutti quei margini, quei bordi slabbrati, quelle persone che vagano nella terra dei corpi che nessuno vuole vedere e, seppur con storicità molto diverse le une dalle altre, hanno uno spazio enorme a loro disposizione non per creare nuove gerarchie, ma per costruire tavole rotonde dove chiunque può essere visto e ascoltato, chiunque può vedere e ascoltare.
[Foto di Womanizer Toys]