Io la mia famiglia queer un po’ l’ho cercata, un po’ mi è capitata e un po’ sono sicuro che fosse destino m’intrecciassi in quel momento, in quel luogo, in quegli abbracci.
C’è quando ho bisogno di salvezza, mi mostra come si ama e ci si prende cura reciprocamente, come si cresce e come si costruisce il futuro. La famiglia per la nostra comunità è cultura, è tradizione, è tramandare storie di voce in voce, esperienza in esperienza, dissidenza in dissidenza, è il codice di sopravvivenza quando ti ritrovi senza pelle, è mediatore col mondo quando ci sfugge ogni significato comprensibile.
Per questo, quando ho pensato di fare una lista delle serie TV che hanno provato a raccontare le “queer family” è stato ovvio per me chiederlo a loro, alla mia famiglia queer, facendomi mandare un vocale su Whatsapp.
E se la parola queer sovverte le definizioni, di sicuro lo è anche questo articolo che state leggendo: un po’ diario, un po’ podcast, un po’ una finestra intima sul mio cuore. Perché se ho avuto la fortuna di incontrare persone così speciali, condividerle con voi è il miglior regalo che possa fare.
Per iniziare non avrei potuto pensare a persona più adatta di Marina Pierri, critica televisiva, co-fondatrice e direttrice artistica del Festival delle Serie TV, narratologa e autrice di “Eroine” per Tlon Edizioni e il fondamentale podcast “Soglie” sull’app Storytel. Con Marina condivido da tanti anni visioni, storie, personaggi e lunghissime chiacchierate su videogiochi e serie TV che trattano proprio questi temi: da ”Glow” di Flahive e Mensch (Netflix), fino a “A league of their own” (Prime Video) la serie TV tratta dal film “Ragazze vincenti” del 1992.
“La famiglia si forma per inevitabilità e per bisogno, e quando incontriamo persone con cui abbiamo in comune percorsi negli interni e negli inferni, in qualche modo ci riconosciamo” e proprio così che ci siamo trovate e abbracciate io e Giulia Paganelli, antropologa e scrittrice di “Maleficae, i corpi avvelenati” edito da Einaudi e il bellissimo podcast “Herbariae, streghe dell’anima mia” per Storytel. E da spiriti solitari sappiamo anche come essere legione, basta uno sguardo o un cenno, per ribaltare tavoli o creare rifugi in cui sentirsi al sicuro. Io non avrei potuto chiedere sorella più cara di Giulia.
La famiglia come agente unico ma di differenti realtà, strumento solido di ricerca dell’identità, questo è “Sense8” (Netflix) forse la serie Tv di cui ho più discusso in questi anni con le persone a me care, quelle per cui empatia e condivisione sono opportunità di crescita, di apertura e quindi di amore. Telepatia come metafora di valori comuni. Così la pensa anche Marco Malfi Chindemi, bravissimo produttore cinematografico (“Genitori quasi perfetti” e “Tra cinque minuti in scena”) e organizzatore del Gender Border Film Festival a Milano, con cui parlo di cinema, regia, fotografia e mi ricorda ogni volta quanto sia bello ancora fare cinema. “Kindness is sexy” ed è decisamente il motto di Marco e il mio.
“Heartstopper (Netflix) è una storia che avremmo dovuto vedere in TV tanti anni fa”, dice benissimo Fabio Nubile, fratello insostituibile di pranzi domenicali, discese sullo snowboard, naufragi sul surf, meme sui gattini, manifestazioni in piazza e tanto, tanto studio sulla comunicazione e rappresentazione politica della comunità LGBTQIA+. Fabio è un bravissimo art director, lavora per il brand Chiara Ferragni e il suo è uno degli sguardi più attenti e sensibili sulle nuove generazioni. Proprio come nella serie creata da Alice Oseman, lo sguardo contemporaneo va a colmare vuoti, fa spazio ad altre identità, ci mostra quante voci ancora cercano casa, senza per forza sapere cosa sia storicamente una famiglia queer, ma vivendola, semplicemente.
Negli anni la mia famiglia l’ho disseminata un po’ in varie città: a Bologna quando ho frequentato l’università, a Roma per la scuola di Cinema e poi a Milano per lavoro. Ci vuole un po’ della maturità che ti regala l’età per capire quanto si è fortunati a incontrare persone che tengano a te, alla tua evoluzione e crescita, preparandoti a quello che ti aspetta. Domitilla Ferrari è una di queste persone, docente di comunicazione all’Università di Padova, capa del marketing e autrice di libri come “Due gradi e mezzo di separazione” edito per Sperling & Kupfer, “Il pessimo capo” per Longanesi e del podcast “Ti faremo sapere” su Spotify.
Non mi stupisce che le serie da lei citate trattino di distanza, di spazi e non-luoghi tecnologici condivisi, perché le famiglie sono salvifiche anche quando sono lontane, ma ciò non toglie che nella quotidianità Domitilla mi manchi tanto.
Credo che le prime due serie TV di cui parlammo io ed Egizia Mondini, giornalista, esperta di comunicazione, nonché storica direttrice di Aut, furono “The L word” (Sky) la serie di Ilene Chaiken e proprio “Sex and the city” (NowTV). Dopo vent’anni precisi, eccoci di nuovo qui, io e lei, a parlare dell’evoluzione di Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte in “And Just like That” (Sky) e di come ci sia più consapevolezza, più spazio alle proprie identità, più focus su quella che è sempre stata la sola e unica famiglia. Sto parlando della serie Tv di Darren Star, certo, ma anche delle nostre vite.
Vorrei concludere per dovere di completezza con la Santa Trinità delle famiglie queer per eccellenza, che hanno unito i riferimenti storici, alla voglia di raccontare le relazioni, ossatura della nostra comunità: “Pose” (Netflix) la bellissima serie TV di Ryan Murphy e Brad Falchuk, prodotta, scritta e diretta da Janet Mock, la prima donna transgender nera a riuscirci; “When we rise” (Disney+) di Dustin Lance Black e “It’s a sin” (Prime Video), la miniserie inglese ideata da Russel T. Davis.
E permettetemi ancora un ultimo titolo che forse vi sembrerà piccolo o sacrificabile ma per me uno degli esempi più chiari di quanto abbiamo detto fin qui, ed è la serie di animazione per ragazzi “The Owl House” (Diseny+) in cui una giovane strega lascia la sua famiglia sulla terra per abbracciarne una stramba ed emarginata, finendo per salvare mondi interi, combattendo nemici spaventosi con l’aiuto di amici e una splendida fidanzata.
Esistono tanti modi di raccontare le nostre famiglie, quante sono le famiglie queer stesse, speriamo che le serie TV siano alleate sempre più frequenti e numerose.