Lo stato continuativo di sofferenza e disagio psicofisico derivante dall’appartenere a una categoria marginalizzata, invisibilizzata, razzializzata, il cosiddetto minority stress, significa stare sempre sulla difensiva. Le persone aroace, asessuali e aromantiche ne sanno qualcosa: sono sempre esistite eppure sono considerate un mostro sgradito. Oggi sappiamo che le identità aroace si collocano nell’ampio spettro degli orientamenti di chi prova nessuna attrazione sessuale e/o romantica per alcun genere o può provarle solo in specifiche circostanze. Quelle aroace sono identità che problematizzano, mettono in dubbio e si sottraggono da ciò che la maggioranza pensa sia normale all’interno delle dinamiche relazionali, sono in grado di creare nuove modalità di raccontare la prossemica delle relazioni e le geografie stesse dei rapporti e dei loro sviluppi ben oltre la già citata scala mobile relazionale.
Le persone aroace, asessuali e aromantiche, sono sempre esistite. Esistono ben prima che Emma Trosse alla fine del XIX secolo nel suo Ein Weib? Psychologisch-biographische: Studie über eine Konträrsexuelle definisse il termine Sinnlichkeitlosigkeit (Asensuality), identificandosi con esso. Prima che Lisa Orlando scrivesse The asexual manifesto nel 1972. Prima che l’Associazione Psicologica Americana depatologizzasse l’asessualtià e questo orientamento fosse riconosciuto come valido nel DSM-5 ormai più di un decennio fa. Prima della pubblicazione online My life as an Amoeba nel 1997. E prima che lo straordinario impegno del dellǝ attivistǝ di AVEN (Asexual Visibility and Education Network) desse vita al primo network di persone ace online, piattaforma su cui anni dopo lessi per la prima volta storie che contribuirono a supportare il mio secondo coming out come persona gray-ace, o gray-a e aro (identità che, come quelle demisessuali, si collocano all’interno dello spettro dell’asessualità).
Secondo coming out perché, quando nei primi 2000 decisi di essere out come gay, le scelte nel mondo che frequentavo, in cui ancora non esistevano gruppi come Carro di Buoi o Rete Lettera A, né l’impegno online dell’attivismo gen-z (generazione a cui lǝ millennial come me devono tantissimo, in termini di esplorazione e creazione di nuovi spazi politici online), erano poche, così come i label a disposizione: o eri etero o eri gay. La cancellazione e invisibilizzazione delle persone bisessuali (bi-erasure) era e rimane un fenomeno pervasivo che di fatto complicava non di poco l’identificazione di moltǝ nello spettro bi+, per cui, chi cercava una comunità, spesso nel giro dell’associazionismo, era facile si confrontasse con modelli piuttosto rigidi, riflesso di una cultura cis, bianca, abile, molto a disagio nel rapporto con la non conformità dei corpi e delle identità. Al tempo stesso lo spettro ace era spettro in quanto fantasma: non si vedeva, non aveva rappresentazione se non in trafiletti tecnici e materiali formativi nell’ambito dell’identità sessuale, e basta. A dirla tutta, lo spettro aroace più che una chimera era un mostro anche sgradito per ragioni che riprenderò più avanti.
Feci coming out come persona aroace (come scrissi poco fa gray-a aro, ma amo ugualmente definirmi aroace) un decina di anni più tardi, quando, dopo anni di attivismo trovai finalmente un’identità e un gruppo di pari con cui potessi trovarmi a mio agio e che mi rappresentasse al meglio, periodo in cui elaborai anche la mia preferenza relazionale poliamorosa, ma questo è un altro racconto.
Oggi sappiamo che le identità aroace, asessuali e aromantiche, si collocano nell’ampio spettro degli orientamenti di chi prova nessuna attrazione sessuale e/o romantica per alcun genere o può provarle solo in specifiche circostanze (ASPEC, Asexual and Aromantic Spectrum), e anche grazie al lavoro di attivistǝ e al lavoro di studiosǝ (per citarne alcunǝ Toward a conceptual understanding of asexuality di Anthony Francis Bogaert; I corpi astinenti di Emmanuelle Richard; Lo spettro dell’asessualità di Francesca Anelli, saggio esaltante che consiglio a tuttǝ e che citerò in chiusura dell’articolo; Asessualità – La sua comunità, il suo vocabolario, il rapporto con psicologia e sessuologia di Caterina Appia), abbiamo più consapevolezza del fatto che l’asessualità sia un orientamento sessuale e che non ha nulla a che vedere con la libido fisiologica, per cui una persona asessuale può benissimo provare repulsione per il sesso (sex-averse), esserne indifferente (sex-indifferent) oppure desiderarlo (sex-favorable). Così come essere asessuali non significa necessariamente intraprendere uno stile relazionale o di vita: possiamo decidere di vivere solǝ, in relazioni monogamiche o vivere in situazioni di non-monogamie consensuali, immaginando e organizzando anche in modalità inedite gli spazi della prossemica relazionale.
Detto ciò, oggi sembrerebbe più facile essere out come persone aroace. Trovo sì più facile identificarsi come persone nell’aroace-spectrum grazie soprattutto alla fruibilità di strumenti online e offline prima non disponibili perché semplicemente inesistenti. Tuttavia essere out come aroace ti espone a un sistema complesso di atteggiamenti aggressivi e violenti, che passano di frequente dall’invalidazione identitaria (afobia), al dare al coming out un dubbio di transitorietà (“è una fase”, “poi passa”, “ma ne sei proprio sicurǝ?”), una presunta genesi traumatica della propria dichiarazione identitaria (“è un trauma”, “magari è un blocco”, “io approfondirei”), fino ad evocare quello che viene chiamato stupro correttivo (“ci penso io a farti cambiare idea”).
Sì, di afobia si soffre e ci si ammala: la sensazione di essere costantemente ributtatǝ a forza nel closet da cui proviamo ad uscire senza possibilità di essere credutǝ in modo autentico porta sempre con sé quel retrogusto di incredulità amaro di sapere che non verrai mai completamente compresǝ e quindi o dimostri di vivere il più possibile secondo le norme relazionali che impongono un tipo di intimità sessuale (allonormatività), romantica (amatonormatività), con dei tempi e spazi ben codificati e relazioni che rientrino in percorsi normati e già scritti, da guadagnare e raggiungere per essere accettatǝ (scala mobile relazionale) oppure rimarrai sempre un fenomeno anomalo, una persona a metà la cui narrazione si snoda intorno a una presunta mancanza.
Essere out espone, tra le altre cose, agli interrogatori di chi dà l’impressione di voler capire a tutti i costi, ma di per sé quello che attua è un’invasione del consenso e della privacy altrui: c’è sempre chi entra a gamba tesa nei momenti meno opportuni con domande, spesso intime e non richieste, domande insomma che non farebbe mai ad una persona eterosessuale, dimenticando che il comprendere a tutti i costi, vivisezionando il mondo, quando si ha a che fare con identità complesse, delicate e vissuti personali, può essere molto più violento che l’accettare pacificamente l’esistenza di chi è altrǝ da noi, l’esistenza e la cittadinanza dell’esperienza che, senza viverla, non si potrà mai capire fino in fondo.
Il minority stress (e cioè lo stato continuativo di sofferenza e disagio psicofisico derivante dall’appartenere a una categoria marginalizzata, invisibilizzata, razzializzata) è anche questo: stare sempre sulla difensiva. Non sai mai infatti da che parte arriverà l’aggressione, la microaggressione, la boutade giornalistica, il comunicato istituzionale violento; è nei fatti uno stillicidio, un dato di realtà, una fotografia del presente che interessa la vita di milioni di persone, sia fuori, sia spesso dentro le comunità di persone LGBTQIA+. Non è inusuale, tra gli altri fattori di complessità, che la visibilità aroace, per alcunǝ, sia ritenuta lesiva rispetto alla rivendicazione di una piena libertà sessuale, non vedendo tuttavia il potenziale politico scardinante che la visibilità dei corpi e dell’esperienza aroace può rappresentare.
Aggrava l’invisibilità della comunità la quasi totale assenza di rappresentazione, non solo mainstream, ma anche di nicchia: sono pochissime le testimonianze di personaggi ace nel mondo della letteratura e dell’entertainment. Potrei citarne alcune ormai molto note, almeno nei circuiti ace: Todd Chavez che nella quarta stagione di Bojack Horseman si dichiara apertamente asessuale e successivamente prende parte a un convegno di persone ace. Esistono altre testimonianze, ma a parte un brevissimo passaggio in Sex education col personaggio di Florence, di asessualità si parla più frequentemente fuori dal set; per fare un esempio, nel 2014 gli autori di Game of Thrones definirono l’asessualità di Varys (non senza problematicità perché legata alla dichiarazione di assenza di desiderio, che, come abbiamo visto, non definisce lo spettro aroace), così spesso di asessualità dei character si discute nelle fan-fiction dei fandom di questa o quella serie. E comunque quelle aroace rimangono spesso identità appena accennate e marginali allo sviluppo della trama; personaggi che non restituiscono le complessità dello spettro e, quando presenti, cammei inquadrati per far presenza, salvo rarissimi casi, e sempre da una lente allonormata (quindi di persone non aroace).
E tuttavia, al netto di questa rappresentazione parziale, in un mondo in cui la cultura mainstream pone come core mechanic delle proprie narrazioni non solo il sesso (anche negandolo come tabù) ma soprattutto l’attrazione (etero)sessuale e (etero)romantica, le identità aroace, oltre ad essere queer per definizione, in quanto deviano e mettono in crisi una norma data per scontata (a accettabile di default), hanno in nuce una componente implicitamente rivoluzionaria: problematizzano il costrutto patriarcale (cis-etero-bianco-abile-allonormato-amatonormato) su uno dei piani attraverso cui questo dà prova della propria performance e misura il proprio successo, cioè quello dell’attrazione sessuale e romantica. Come infatti accennavo in precedenza, quelle aroace sono identità che problematizzano, mettono in dubbio e si sottraggono da ciò che la maggioranza pensa sia normale all’interno delle dinamiche relazionali, sono in grado di creare nuove modalità di raccontare la prossemica delle relazioni e le geografie stesse dei rapporti e dei loro sviluppi ben oltre la già citata scala mobile relazionale.
Pertanto in un sistema patriarcale come quello in cui viviamo, in cui spesso il maschio-cis misura il proprio valore, lo status e il proprio posizionamento gerarchico attraverso la performance sessuale e la manifestazione visibile, nonché standardizzata, del proprio orientamento allonormato, rappresentato spesso attraverso cliché e tropi colonialisti e predatori, l’asessualità e l’aromanticismo diventano orientamenti scardinanti. In un simile contesto, l’asessuale è un mostro che va tenuto fuori; il maschio che manifesta pubblicamente la propria identità aroace, come nel mio caso, è insieme inutile perché privo della manifestazione evidente della performance patriarcale-venatoria, e traditore perché devia dalla norma del branco in cui il leporello dell’accumulo di prede diventa uno dei lasciapassare più violento, ma anche più accessibile, dell’accettabilità sociale.
Oggi per fortuna sono sempre più attive associazioni di persone aroace che si occupano di dare visibilità anche alle identità meno tipiche dell’universo queer e sempre più di frequentemente in ottica intersezionale, aumentano le rappresentazioni e le narrazioni in cui sempre più persone possono riconoscersi, così gli spazi safe in cui si possa manifestare la propria identità in modo più libero. C’è tuttavia molto lavoro da fare per materializzare il rimosso, lo spettro latente di quella A che spesso ci aspettiamo – invano – di sentire in coda all’acronimo, per sentire pronunciate anche quelle microetichette di cui abbiamo bisogno perché dietro di esse abbiamo vite che chiedono piena cittadinanza. Le parole sono fondamentali e imprescindibili e, anche quella A, tra le altre lettere, diventa simbolo di piena riconoscibilità che, come identità non normate e non conformi pretendiamo, senza pacche sulle spalle, senza sconti e soprattutto senza cancellazioni. Chiudo nuovamente col bellissimo contributo di Francesca Anelli Lo spettro dell’Asessualtià, che citando un’articolo del Fuori! del 1980, in cui si parlava di asessualità come moda passeggera, riflette e fa riflettere su quanto, con amara ironia, siamo – e continuiamo ad essere, direi io, – la moda passeggera meno passeggera della storia.
Ringrazio di cuore Alice Masi (Cuori Meccanici) per il prezioso supporto.
[Illustrazione “Le ragazze acquario” di Giacomo Guccinelli – IG: @lateogoniaillustrata]
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Bibliografia
F. ANELLI, Lo spettro dell’asessualità. Corpi, percorsi e rivendicazioni della comunità asessuale, Ed. Eris 2023
C. APPIA, Asessualità – La sua comunità, il suo vocabolario, il rapporto con psicologia e sessualogia
R. BORGHI, Decolonialità e privilegio. Pratiche femministe e critiche al sistema-mondo, Meltemi 2020
E. RICHARD, I corpi astinenti, Il sesso tra imposizione sociale e libertà, Ed. Tlon 2021
Sitografia
AVEN The Asexual Visibility and Education Network
Ace Archive
Asexuals.net | The History of Asexuality
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