Dove spariscono le persone LGBTQ+ quando invecchiano? Nei locali e nei club sono merce non di successo e quindi è raro vedere qualche testa bianca che si aggira tra gruppi di ragazze e ragazzi intenti a chiacchierare fra loro o impegnati in azioni di rimorchio. Con poche eccezioni non frequentano i nostri Circoli culturali e politici. Ai Pride sono mosche bianche (appunto!). Sui social gay certamente qualcuno ci prova ma è difficile essere cercati quando i muscoli sono solo un ricordo e la forza di gravità trascina ogni parte del corpo verso il basso. Le rughe non sono di moda e alcun* (che possono permetterselo) corrono a riempire le tasche di euro, spesso mal spesi, di chirurghi estetici, di dermatologi e di proprietari di centri benessere. La maggior parte dei nostri anziani ed anziane LGBTQ+ semplicemente si ritirano sempre più nelle loro case (se hanno una casa propria), o in quella di familiari (se hanno mantenuto rapporti) riducendo passo passo contatti, relazioni ed attività sociali. Fino all’invisibilità.
Discriminati in quanto anzian* (la società non sa che farsene, sono un peso per le famiglie, sono una voragine per l’INPS che deve pagare le pensioni), i nostri vecchi e vecchie sono generalmente ignorati anche dalla comunità LGBTQ+ che sembra dimenticare che siamo tutti e tutte destinati ad attraversare una terza età piena di difficoltà e di sorprese spesso negative.
E i nostri vecchi e vecchie rischiano di più, appartenendo ad una generazione che di solito non ha fatto in tempo ad approfittare dei mutamenti sociali positivi (maggiore integrazione sociale, maggiore visibilità, unioni civili riconosciute) e si trova ad affrontare la parte più densa di incognite dell’esistenza umana senza una famiglia propria, senza aver davvero metabolizzato la vergogna di essere gay o lesbiche (la nota problematica dell’omofobia interiorizzata), spesso anche senza una rete di protezione fatta di affetti e di sostegni concreti, con un rischio di solitudine e di isolamento molto alto.
Il tutto in un contesto di sanità pubblica in crisi (a causa di scelte politiche scellerate), di mancanza di servizi di territorio, con un personale sanitario e sociale spesso impreparato ad affrontare la cura e il sostegno di persone con una storia così particolare, per non dire pesante, come noi LGBTQ+ anzian*. E qui si aprirebbe un discorso (ancora una volta di scelte politiche) sulla necessità di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza sociale, di assistenza psicologica, delle ASL, degli ospedali, delle case di riposo. I nostri corpi spesso non sono corpi normati, e le persone transgender ne sanno qualcosa! La nostra sessualità (che ancora è viva e vegeta a qualsiasi età) non è normata! Chi si prende cura del nostro vecchio ano che può essere tranquillamente il nostro organo sessuale? Posso prendere malattie sessualmente trasmesse anche a 90 anni e non voglio essere giudicato. Posso essere sieropositivo e non voglio dovermi giustificare. Posso aver voglia o necessità di raccontare la mia vita, la mia diversità e voglio persone preparate ad ascoltarmi, ad accogliermi. Non voglio che mi si chieda dov’è mia moglie (se sono un uomo) o viceversa. Non voglio che mi si chieda perché non ci sono i miei figli o i miei nipoti ad accompagnarmi ad una visita invece di un “estraneo”. Ecc. ecc…
Il quadro che sto disegnando sembra desolato e probabilmente per una certa parte di popolazione anziana LGBTQ+ è davvero così, soprattutto per la parte più povera e socialmente poco inserita. Ma nella popolazione della terza età si nascondono anche tante risorse. Se la salute fisica e psicologica lo permette sono tante le energie, le competenze, le esperienze che possiamo mettere in circolo, far fluire in azioni di aiuto reciproco. Gli e le anzian* hanno tanto da raccontare e la comunità LGBTQ+ ha un enorme bisogno di costruirsi una storia, una memoria collettiva, di avere figure di riferimento, di possedere degli eroi e delle eroine positivi. Sarebbe bello costruire un ponte tra le vecchie e le nuove generazioni, che dia un senso ai ricordi degli uni e la consapevolezza di una strada già tracciata alle proprie spalle per gli altri.
Se ci guardiamo intorno scopriamo che qualcosa si muove. Quasi tutte le principali associazioni LGBTQ+ del continente europeo hanno sezioni che si occupano dei e delle seniors. E in città come Parigi, Londra, Berlino, Madrid sono nate vere e proprie strutture di accoglienza nelle quali convivono LGBTQ+ autosufficienti e non, in genere progettate in modo che una parte delle stanze o dei piccoli appartamenti che le compongono, siano riservati a persone non anziane, come ad esempio giovani studenti fuori sede. Questo favorisce una mescolanza di esperienze e costituisce un arricchimento. L’idea è quella di creare un ambiente aperto al territorio, solidale con altre realtà ma nello stesso tempo connotato culturalmente e socialmente, nel quale le persone LGBTQ+ anziane si sentano il più possibile “a casa propria”.
Si parla di vecchiaia attiva e propositiva, di persone che desiderano vivere insieme non solo per essere assistite in caso di bisogno e per uscire dalla solitudine, ma soprattutto per condividere l’ultima parte dell’esistenza senza dover cancellare la propria identità e la propria fisicità LGBTQ+, in un contesto piacevole, creativo e solidale. Sono diversi i modelli di cohousing europei realizzabili (e già realizzati, come si diceva, in alcune città europee): si va da piccole case con pochi abitanti a grandi strutture con decine di conviventi; da strutture inserite in ambiente urbano ad altre in ambienti più naturali. Tutte però prevedono ampi spazi comuni come zona cucina-soggiorno, palestra, sala riunioni/teatro/cinema e quando è possibile spazi aperti con giardini. Un’altra caratteristica importante è la presenza, nella medesima struttura, di altre attività. A Berlino, ad esempio, è in funzione da anni una struttura complessa – il Cohousing Lebensort Vielfalt – nel quale si trovano anche un caffè e una biblioteca aperti all’esterno, oltreché la sede della principale associazione cittadina LGBTQ+. La struttura residenziale berlinese prevede una presenza di “diversità”: circa il 60% dei residenti sono uomini gay di età superiore ai 55 anni, il 20% sono donne, il 20% sono uomini gay più giovani. Inoltre è operativo un servizio di “Consulenza e aiuto nella vita quotidiana per persone Inter e Trans”.
E in Italia? Anche in Italia qualcosa si muove. A Torino opera da alcuni anni un servizio di accoglienza abitativa temporanea per GLBTQ+ di tutte le età e in parte i fruitori sono persone anziane. Il progetto si chiama To-Housing ed è gestito dall’associazione QUORE.
Arcigay nazionale in anni recenti ha promosso uno studio approfondito sulla condizione degli/delle anzian*LGBTQ+ in Italia, dedicando uno spazio proprio al tema del co-housing (“Silver Rainbow: programma per il contrasto alle solitudini involontarie della terza e quarta età LGBTI e la promozione dell’invecchiamento attivo”).
A Roma il Circolo Mario Mieli ha condotto (2015) il progetto Angelo azzurro, dedicato al tema dell’invecchiamento, coordinando un primo gruppo di anzian* interessati al co-housing e ad un viale del tramonto propositivo e gaio.
Dalle ceneri di quell’esperienza è nata l’associazione Agapanto (anzian* LGBTQ+ per un co-housing solidale) che sta lavorando per realizzare un progetto avveniristico per l’Italia, la Casa Queerinale Agapanto, sulla falsariga di quello già operativo da anni a Berlino. L’associazione nel contempo sta anche portando il tema dell’invecchiamento all’interno del movimento LGBTQ+ e sul tavolo delle Istituzioni (Comune di Roma, Municipi, ASL) sollevando le diverse problematiche sociali emergenti. Gli aspetti che riguardano l’invecchiamento seguiti da Agapanto sono molteplici: socializzazione contro l’isolamento, cultura contro l’impoverimento emozionale, tecniche di aiuto/auto-aiuto per il benessere quotidiano, laboratori su temi quali “relazioni e gruppi amicali”. Nel settembre appena passato ha realizzato una settimana di vita insieme e di laboratori di approfondimento sulla condivisione di tempi e di spazi comuni. L’esperienza è stata ospitata in una struttura protetta per anziani (Residenza Vivere Over) a Sanremo, partecipata da una trentina di persone provenienti da tutta Italia e i direttori di Agapanto assicurano che, visto il successo dell’iniziativa, ci sarà un bis nel 2024.
Agapanto ha anche istituito un premio annuale (Premio Marco Sanna) da conferire ad una personalità che si è distinta per le sue attività e le sue opere a favore della comunità LGBTQ+, scelta tra i nostri anzian* militanti della prima ora. Per quest’anno il Premio è andato a Francesco Gnerre, tra i fondatori del Circolo Mario Mieli e da sempre impegnato sia nello studio e nella divulgazione della letteratura a tematica LGBTQ+, sia in una raffinata attività di ricerca sulla rappresentazione dell’amore omosessuale nella letteratura italiana.
(Andrea Pini è Vicepresidente di Agapanto, anzian* LGBTQ+ per un co-housing solidale)