Siamo nell’era della visibilità ad ogni costo. Abbiamo tutti la sensazione che donando la propria vita al metaverso ci si senta più vivi, che la risposta che ritorna dal non luogo sia inequivocabilmente “Ci sei, ti vediamo”. La tanto agognata visibilità ha preso subdolamente il posto della più solida identità, quella (ed è la vera notizia) la stiamo abbandonando un po’ tutti. INVISIBILI con l’ambizione della VISIBILITÀ.
INVISIBILI pur riuscendo ancora a respirare e a guardare il mondo, pur desiderando ancora di poter essere felici. Ma dove sono io? Dove siamo tutti? Quanti di noi sono ancora visibili a loro stessi? Io ogni tanto mi perdo… lo ammetto.
Vedo gente che si veste per esistere in un mondo che NON esiste, persone che amano come si ama in un videogioco, che raccontano più a loro stessi che agli altri come vorrebbero essere e non sono.
Famiglie che NON esistono, corpi che NON ci ricordiamo più essere fallibili o diversi da quelli elaborati da un’applicazione di ultima de-generazione. E noi? E io?? Dov’è finito quello che sentiamo davvero? Ce lo siamo più chiesto?
Prendersi una vacanza dentro noi stessi, per capire se stiamo amando davvero, desiderando quello che davvero è nelle nostre sane ambizioni, non cercare più soltanto “luoghi instagrammabili”, far tornare le nostre diverse identità gli unici luoghi davvero interessanti da visitare sarebbe una bella e importante rivoluzione da mettere in atto.
Perché? Perché ci renderebbe di nuovo vicini come persone, restituirebbe alla parola “diversità” il suo essere così preziosa per continuare a evolverci. Annienterebbe quel senso di solitudine e di vuoto che continuiamo ad alimentare accondiscendendo a perdere chi siamo davvero, lasciando all’economia mondiale ed alla politica la possibilità di investire ed avere più potere grazie alla nostra INVISIBILITÀ.
In questi ultimi anni, chi tortura ed arriva anche ad uccidere, chi perseguita, credo siano persone domiciliate nel nulla, quel posto irreale dove hanno barattato il contatto con la propria identità e si sono convinti che non è male ciò che rende visibili, anche secondo inaccettabili regole, dove la morte inflitta o subita non fa più male di quanto sia diventato ingestibile vivere rivendicando see stessi e accettando la propria unicità e quella degli altri.
Chi sono quindi quelli che restano? I “divergenti “: donne, uomini di razze diverse, anziani, bambini, trans, omosessuali, tutte le persone che resistono e non si piegano all’ideale della perdita d’identità pur di assomigliare ad un modello che degenera umanamente.
Quelli ai quali viene impedito di mostrare il viaggio che con fatica stanno intraprendendo dentro e fuori da seé per restituire al mondo possibilità diverse, finestre aperte, cercando a tutti i costi di farli sparire tutti attraverso le uniche vili armi di questi tempi di visibilità: la violenza e l’anestesia da sé. La visibilità come un mantra… anche e soprattutto quella più crudele e brutale. Disumanizzarsi per ottenerla e desiderarla pur di esserci, per restare da morti in vita e non ricordarsi o non sentire più il bene ed il male che fa… per se stesso e per gli altri.
Come ho fatto io a divergere? Con quanta incoscienza ho scelto di essere me stessa? A quale prezzo? E soprattutto… sono sola? No.
Perché ammiro e investo da anni su chi ama quello che ha capito che mette in pace il suo cuore, chi si batte per riempire di sentimenti veri la parola: famiglia. Rispetto chi esce allo scoperto e mostra le sue ferite per curare quelle degli altri, chi dice e fa cose impopolari… soprattutto se l’essere popolari vuol dire diventare INVISIBILI. Non permettete a nessuno di attaccarvi un prezzo, siete voi i proprietari del “marchio” e lo resterete sempre e soltanto continuando a poter dire CHI SIETE davvero.
Io l’ho imparato qui con voi… avevo 15 anni… e ancora rivendico la mia impopolare identità.
Giuro!
Ambra