In pochi anni si è assistito a un vertiginoso aumento delle discussioni in merito a come rendere l’ambiente scolastico un luogo che possa accogliere e valorizzare ogni identità. Questo fenomeno si deve sia al forte impegno che associazioni studentesche e in difesa dei diritti LGBTQIA+ stanno mettendo per introdurre strumenti che diminuiscano le disuguaglianze (in primis le cosiddette ‘carriere alias’), sia, paradossalmente, a causa della sempre più forte esposizione mediatica che la destra e l’estrema destra italiane si stanno ritagliando sulla fantomatica ‘teoria gender’.
Secondo AGEDO sono 335 le scuole italiane che hanno adottato nel loro regolamento la Carriere Alias, anche nota come ‘doppio libretto’, in quanto è uno strumento che permette a studenti e studentesse transgender di poter utilizzare per tutti i documenti interni all’istituto il proprio nome e genere di elezione, creando un ‘libretto alternativo’.
Ma non solo: accanto alle carriere alias, in svariate scuole di tutto il Paese sono in discussione anche una serie di altre misure che renderebbero l’ambiente scolastico più accessibile per le persone queer, come ad esempio la predisposizione di bagni e spogliatoi promiscui, che avrebbero un significativo impatto sulla qualità di vita delle persone con disforia di genere.
Per quanto il numero di scuole che integrano i loro regolamenti interni con strumenti come quelli descritti sopra siano in crescita, va tenuto in considerazione che spesso questi regolamenti vengono spesso approvati con difficoltà all’interno dei Consigli di Istituto, non di rado con la resistenza di genitori o docenti con posizioni violentemente transfobiche, e sono oggetto di tanto pesanti quanto infondate critiche da parte della destra e delle associazioni pro-vita (nota è la notizia della diffida mandata alle scuole che hanno adottato il doppio libretto ad opera dell’associazione Pro Vita e Famiglia).
Tuttavia bisogna anche riconoscere come queste misure, seppur parziali, oltre ad avere un effetto concreto sulla vita quotidiana delle persone che ne possono beneficiare, hanno anche sfondato un grande muro di silenzio sulla situazione di discriminazione costante e spesso di vera e propria segregazione che vivono le persone queer nelle scuole del Bel Paese.
Nell’ultimo decennio diversi sono stati i report a livello europeo e nazionale che segnalano una situazione a dir poco preoccupante per quanto riguarda l’elevato tasso di episodi di bullismo omobilesbotransfobico nelle scuole: nel 2014 ben il 69% delle persone queer intervistate dichiara di aver subito episodi del genere (contro una media europea di un punto percentuale inferiore) e oltre il 90% degli studenti e delle studentesse costituenti il campione afferma di aver assistito a scene di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere nelle scuole; secondo l’Arcigay i dati degli ultimi anni non dimostrano miglioramenti significativi, anzi le persone queer continuano a subire episodi di bullismo, discriminazioni ed essere colpiti dal fenomeno del drop-out.
La scuola italiana deve fare i conti con un problema di omobilesbotransfobia e, per quanto carriere alias e bagni genderless siano un primo passo per diminuire il minority stress che le persone LGBTQIA+ soffrono quotidianamente anche dentro le mura scolastiche, bisogna fare molto di più.
La scuola italiana deve in primis interrogarsi su quale spazio dà alle persone queer al suo interno: fino a quando nei nostri libri troveremo solo cugini, grandi amici, scapoli a vita, come potremmo considerare normale tutto ciò che va oltre il modello eterocispatriarcale? Quale valore può avere un progetto come “Educare alla relazioni” del ministro Valditara che – al netto delle molte altre evidenti criticità – sembra dimenticarsi dell’esistenza di tutto ciò che non è un uomo e una donna che vogliono avere rapporti tra di loro?
Fino a quando la comunità lgbtqia+ continuerà ad essere censurata e invisibilizzata da lenti più o meno volutamente eternormative difficilmente si potrà porre freno all’omobilesbotransfobia nelle scuole, e a tutte le conseguenze che porta con sé (attacchi di panico, disturbi d’ansia, isolamento, dispersione scolastica, depressione, autolesionismo, suicidio).
Fortunatamente esistono esempi virtuosi, anche se pochi, di scuole in cui, grazie a rappresentanti della comunità studentesca o professori particolarmente “illuminati”, si sono avviati percorsi di informazione e formazione aperti a specifiche componenti della comunità scolastica o alla sua interezza, permettendo di colmare il gap che millenni di disinformazione hanno prodotto.
Eppure la strada è ancora molto lunga: non possiamo accontentarci di misure delegate alla sensibilità delle singole scuole, abbiamo bisogno di riforme strutturali del modo in cui intendiamo e facciamo ogni giorno la scuola, solo così questa potrà essere uno spazio realmente aperto e attraversabile da tutti i corpi e le identità.
Nicholas Pasantes – Rete degli Studenti Medi