Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sui festival di cinema (e non solo) queer in Italia ho sentito una specie di stretta al cuore. Per anni, anzi per tre decenni, ho frequentato quei festival, prima come spettatore poi come giornalista accreditato, in seguito come giurato e in ultimo come regista di documentari a tematica LGBTQIA+ . Credo pertanto di poter dire che sono la persona giusta per parlarne. Questi festival sono fondamentali a mio avviso per molteplici ragioni e credo che oggi più che mai ce ne sia un gran bisogno. Per me, averli frequentati ha significato molto, per capire chi fossi, per conoscere altre persone della comunità, per vedere vecchi film sul grande schermo (come dimenticare le retrospettive viste a Torino, di Isa Miranda, Marene Dietrich, Joe D’Alessandro o David Bowie?) per conoscere gli ospiti. Che emozione quella volta con Martin Sherman, un ebreo americano simpaticissimo (all’epoca mi sembrava anziano ma mi sa che aveva più o meno l’età che ho io adesso…) che ha scritto per il teatro e poi per il cinema quel capolavoro che è Bent, sulla storia di due omosessuali reclusi nei campi di sterminio.
Più di una volta nel corso di questi anni, mi sono chiesto se ha ancora senso un festival di questo tipo: voglio dire, film a tematica LGBTQIA+ ormai vincono gli Oscar, si pensi a Brokeback Mountain (2005 Oscar per la regia e la sceneggiatura), a Boys don’t cry, (Oscar a Hilary Swank nel 1999) a Capote (Oscar per il compianto Philip Seymour Hoffman nel 2005) a Milk (Oscar a Sean Penn nel 2008) Moonlight (2016 tre Oscar tra cui attore e al miglior film) o Call me by your name ( 2017 Oscar per la sceneggiatura) e sono titoli che non si sono visti nei festival di settore ma sono andati direttamente a Venezia, Cannes Berlino, Toronto. Il rischio era che ai festival LGBTQIA+ rimanessero solo gli scarti, commediole stupide o filmetti sciatti. Eppure… non è stato così. E questo perché dietro questi festival c’è un enorme lavoro di ricerca, c’è uno sguardo, una linea editoriale e un senso di missione non indifferente.
Pensate che il primo festival in Italia a tematica gay fu quello di Torino, chiamato provocatoriamente “da Sodoma a Hollywood”. Fu Giovanni Minerba a inventarlo, con il suo compagno Ottavio Mai, nel lontano 1981, oggi noto come Lovers Film Festival (https://www.loversff.com/it/): è il più antico festival a tematica LGBTQIA+ d’Europa e tra i primi nel mondo. La direzione artistica è affidata a Vladimir Luxuria, mentre da quasi 30 anni una delle colonne portanti del festival è Angelo Acerbi che nel corso del tempo ha rivestito vari ruoli, da curatore a selezionatore a responsabile per la programmazione. Raggiunto al telefono mi parla di come il festival è cambiato negli anni, del pubblico che si è diversificato e adesso, oltre lo “zoccolo duro” di ultra cinquantenni che lo seguono con l’affetto di sempre, si è aggiunto un tipo di spettatore più variegato, non necessariamente gay, magari interessato al buon cinema di qualità o alle retrospettive che però, aimé adesso costano care. “Per fare la celebrazione di 5 film che fanno un anniversario, ci siamo svenati” dice Acerbi, poiché, dopo la pandemia i costi di quasi tutto sono raddoppiati ma i finanziamenti sono gli stessi da decenni. La pubblicità canonica sui giornali o con i manifesti per strada costa cara, meglio i social a costo zero, e il passaparola. Ma la cosa fondamentale resta il fare comunità, dare voce a chi voce non l’avrebbe. “Sulle piattaforme” continua Acerbi “si trovano film a tematica LGBTQIA+ ma spesso non sono film d’autore. Certi titoli li puoi trovare solo ai festival perché su Netflix, o altrove, se nessuno ci fa click, i titoli più di nicchia dopo un po’ spariscono”. C’è poi un altro aspetto importante di cui andare fieri, se oggi la questione transessuale sembra abbastanza dibattuta (ma lungi dall’essere accettata dalla massa) è stato proprio al festival di Torino che se ne è parlato già anni e anni fa. Il festival ha luogo al Cinema Teatro Massimo, esattamente davanti alla Mole Antonelliana, sede del museo del cinema che ne segue la gestione amministrativa, un’istituzione che non solo ospita il festival, ma è anche considerato uno dei musei più importanti al mondo per la ricchezza del suo patrimonio (e se non ci siete mai andati, correte adesso a farlo!).
Un altro festival importante al quale sono molto affezionato è il MiX festival di Milano (https://mixfestival.eu/). Al MiX è infatti legata quell’emozione indimenticabile provata vedendo il film che io e mio marito realizzammo nel 2008, proiettato nella sala gremita del Piccolo teatro di Milano (mica tanto piccolo, sono quasi 1000 posti).
Quest’anno sarà alla sua 38 esima edizione. Dopo la gestione di Giampaolo Marzi, dal 2017 il Festival è stato diretto da Andrea Ferrari, Debora Guma e Rafael Maniglia. Oggi diretto da Paolo Armelli, Pierpaolo Astolfi e Priscilla Robledo, il MiX è una realtà molto radicata nel capoluogo lombardo e rappresenta uno dei Festival del Cinema LGBTQIA+ con maggiore affluenza di pubblico (con picchi fino a 12.000 ingressi). Continua, anno dopo anno, la sua missione di aprirsi a nuovi pubblici e nuove forme di contaminazione artistica e intellettuale.
I festival di questo tipo sono punti di riferimento fondamentali per una comunità in cerca di rappresentazione, comprensione e inclusione. Sono strumenti essenziali per combattere stereotipi dannosi, creare dialogo tra diverse comunità e abbattere barriere invisibili. Servono di esempio alla comunità, che può così rivedersi, riconoscersi e condividere gioie e dolori.
Una storia a parte è quella rappresentata da Gender Bender, (https://genderbender.it/ ) il festival bolognese che da 20 anni porta in scena il meglio degli immaginari culturali e artistici legati al corpo e al genere. Si svolge a Bologna e con la sua programmazione attraversa l’intera città. Ricco di eventi e di ospiti, è in grado di trasformare il volto della città, portando ospiti internazionali e coinvolgendo i più giovani. Bologna è una città universitaria, non va dimenticato, ed è anche la città di Lucio Dalla e di Eva Robins. Il Cassero, sede dell’Arcigay, è un posto bellissimo, che per tutto l’anno è teatro di eventi, presentazioni e discoteca ma che nei giorni del festival raggiunge il suo acme. Fin dalla sua nascita il festival è stato improntato all’insegna del Gender, un modo per rivolgersi ad una comunità il più ampia possibile che si rivolge a tutti e tutte. Forse anche per questo il loro pubblico si definisce al 40% eterosessuale. “Abbiamo sempre fatto di tutto per avvicinare i giovani al nostro festival”, mi racconta Daniele Del Pozzo, il direttore artistico (insieme a Mauro Meneghelli) che ha cominciato la prima edizione nel ’94, “e la nostra presidente di adesso è nata proprio nel ’94!” ride divertito. All’inizio del quadrimestre fanno delle presentazioni del festival all’università e per attrarre gli studenti propongono degli sconti interessanti. Sono stati tra i primi – se non i primi in assoluto – in Italia a parlare di genere, una cosa mutuata dai gender studies di origine anglosassone, quando nomi come quello di Judith Butler o Gayle Rubin da noi erano ancora sconosciuti. In più nel 2016 sono arrivate le unioni civili, il mondo gay è cambiato antropologicamente e anche giuridicamente per questo “stiamo lavorando sul fronte culturale con un immaginario in divenire che cambia costantemente, la nostra sfida è stargli dietro”. E poi c’è la danza, la letteratura, il cinema, i laboratori e le feste. Insomma, un festival interdisciplinare dove ognuno può trovare quello che sta cercando.
Scendendo al centro dello stivale si trova il Florence Queer Festival (https://www.florencequeerfestival.it/) che pure è giunto alla sua 21esima edizione, e si pone come la più importante rassegna toscana dedicata alla cultura queer. Il festival è organizzato dall’Associazione IREOS di Firenze, la direzione è affidata a Barbara Caponi e Giacomo Brotto e si svolge in autunno presso il cinema La Compagnia (bellissima sala specializzata in documentari). Nato nel 2003 con una piccola rassegna di 4 giorni al Teatro Puccini, ha ampliato negli anni la programmazione, passando dal cinema Alfieri e poi lo Spazio Uno, per approdare all’Odeon, la più prestigiosa sala fiorentina (oggi convertita in libreria). Cinema, teatro, fotografia, letteratura e costume, sono al centro del percorso che questo festival propone per raccontare un’identità queer in continuo mutamento, che si prefigge di superare gli stereotipi nei quali è stata a lungo costretta.
Rovistando nella valigia dei ricordi, non posso a questo punto non citare l’ultimo dei festival che prendo in analisi, il Sicilia Queer Festival (https://www.siciliaqueerfilmfest.it/) di Palermo, sostenuto e diretto da una squadra di professionisti del mondo del cinema e dell’audiovisivo che lavorano con passione e in modo volontario alla costruzione di uno spazio che rappresenti un’alternativa. Questo festival, nato nel 2010, si propone come luogo di approfondimento teorico e cinematografico e vuole dare visibilità a una cinematografia di qualità; è molto cresciuto nelle ultime edizioni anche grazie alla capacità visionaria del suo direttore artistico, Andrea Inzerillo, un vero intellettuale cinéphile, autore tra gli altri di bellissimi saggi. Ma tutto il suo staff merita il plauso, basta sfogliare i cataloghi delle edizioni passate per capire quanta cura, quanta sapienza e quanto gusto hanno impiegato tutti, volontari compresi. Il dipartimento di statistica dell’Università di Palermo ha rilevato che gli spettatori dell’ultima edizione, avevano l’età media di 23 anni, e già questo mi sembra un successo enorme, in un’epoca in cui i giovani vedono i film solo nelle piattaforme ed escono di casa per pagare il biglietto solo per i film di supereroi.
Mi spiega Andrea Inzerillo: “Qualunque festival si deve porre a domanda: a chi mi rivolgo? Noi abbiamo fatto una politica di prezzi bassi e abbiamo cercato di attrarre un pubblico esigente, in cerca di qualcosa di diverso dall’offerta generalista. Dal momento che la comunità LGBTQIA+ ormai è diventata un target, non si può dire che l’offerta manchi, ma bisogna sapersi distinguere, non accontentarsi. Quando il nostro festival è nato nel 2010, il terreno era già stato preparato da tanti festival di cinema gay e lesbico che hanno fatto da pionieri già negli anni ’80. Noi ci chiediamo cosa sia il cinema queer e in che modo questo cinema può costituire una sfida al cinema tout-court”. Secondo Inzerillo, un festival come il suo deve essere un contributo culturale e deve anche fare ricerca. Film belli e di nicchia ce ne sono, basta saperli trovare. “Il nostro festival non vuole essere uno specchio della comunità LGBTQIA+ ma si pone l’obiettivo di aiutare a crescere una comunità consapevole. Il Festival Queer di Palermo non vuole essere un mero catalogo, ma una proposta”.
Insomma, qualora vi siate chiesti se abbia ancora ragione di essere nel 2024 festival di questo tipo, mi sembra evidente che la risposta è si. Il cinema queer, inoltre, offre un’opportunità fondamentale di confronto, non solo all’interno della comunità LGBTQIA+, ma anche con il mondo esterno. L’omofobia è lungi dall’essere vinta, le cronache (soprattutto quelle nere) sono piene di storie drammatiche, la battaglia per l’inclusione e la rappresentazione è lontana dall’essere vinta, e i festival italiani di cinema queer sono in prima linea in questa lotta e sono fondamentali per sfidare queste percezioni.
Qui ho parlato solo dei 5 più noti, ma ce ne sono tanti altri, più piccoli, più locali, ma ugualmente importanti perché in questi tempi bui restano elementi fondamentali la visibilità, il senso di comunità e il non sentirci mai soli. Per questo più è piccola la città che lo ospita, tanto è più importante il senso di una rassegna di questo tipo.