Sei maschio o femmina?
Quando ero piccola adoravo giocare a calcio con gli amichetti miei e di mio fratello, avevamo un campo perimetrato da lunghe canne beige con un grande spiazzo di terra chiara, secca e arida al centro – lì ora c’è un parcheggio –, ricavavamo i pali delle porte con le canne: le conficcavamo ben bene nel terreno, segnavamo la linea dell’area di rigore strusciando i piedi a terra, formavamo le squadre e via con il Super Santos: era il 1999.
Ho sempre avuto i capelli molto ricci, presi da mio padre, che è tendente all’afro, io e lui condividiamo lo stesso crespo. Lo stesso non si può dire di mia madre, che ha i capelli che ho sempre desiderato, lisci, ordinati, fini. Purtroppo però a pettinarmi era proprio mamma e non sapendo come gestire dei ricci tanto stretti, voluminosi e crespi, me li spazzolava. Un errore madornale. Ho passato gran parte della mia infanzia a vergognarmi di ciò che avevo in testa, un cespuglio, una fratta – così la chiamavano i bambini della provincia di Roma –, quel termine è entrato nel mio dizionario di bambina di 9 anni come un insulto e così è rimasto.
Sembra che stia facendo un discorso sconnesso, ma ora ci arrivo.
Mio padre, per sopperire al problema della gestione dei ricci, si faceva la boccia. Un giorno gli chiesi di fare lo stesso con me. Avevo dodici anni ed ero stufa di essere chiamata Telespalla Bob. Mio padre mi accontentò e, seppure con qualche remora, mi tagliò i capelli cortissimi; non mi fece la boccia, ma quasi. Ricordo che quando mi guardai allo specchio vidi solo vuoto. Finalmente non avevo più la fratta in testa. Ero contenta.
Quello stesso giorno, quando andai a giocare a calcio con gli amichetti, ce n’erano alcuni che non conoscevo. E proprio quei bambini mi scambiarono per un maschio.
Passala a lui!
Bravo!
Ricordo che quel maschile innestò in me un senso di vergogna che non avevo mai provato prima. All’epoca non ne capivo il motivo, ma non avevo il coraggio di dire: Aoh, sono una femmina, ma che non lo vedi?
Di solito, era mio fratello o qualche amico a prendere le mie parti: Guarda che è una ragazza, che non lo vedi?
Il genere è necessario?
Come era possibile che quegli sguardi esterni non fossero in grado di distinguermi da un ragazzo? E come era possibile che chi mi conosceva avesse così chiaro in mente il fatto che io fossi una ragazza? E io? Come mi identificavo?
Sono femmina. Mi sono sempre sentita femmina, eppure non femmina come la società vorrebbe. Non la femmina culturalmente accettata, culturalmente costruita. Mi sento femmina perché sì e non sento di dover dare un motivo a questa mia percezione. Eppure, quando mi è capitato di essere scambiata per un maschio, ho sentito dentro di aver fallito in quanto femmina della mia specie. Vista da fuori non sono mai sembrata una femmina per come viene intesa dalla società. E di questo ne sono fiera. Ma ancora oggi faccio fatica ad accettare di essere scambiata per un maschio. Perché? Quali sono le sovrastrutture che devo decostruire? Perché mi dà fastidio se qualcuno mi scambia per un maschio?
Io ho provato a cercare la mia risposta in un libro. Un libro dove l’autrice ha provato a fare un esperimento del pensiero fuori dagli schemi della letteratura di genere dell’epoca. Sto parlando di un libro di fantascienza che ha cambiato completamente la mia percezione del genere: La mano sinistra del buio (o delle Tenebre, se siete vintage), di Ursula K. Le Guin pubblicato per la prima volta nel 1972.
In questo frangente non mi soffermerò sulla trama o su alcuni aspetti fallimentari dell’opera (come il fatto che all’interno del libro non venga approfondito il tema dell’omosessualità, cosa di cui l’autrice si è pentita a posteriori), quanto sull’idea di fondo: Le Guin crea una società in cui il genere non esiste e non è mai esistito.
L’oggetto dell’esperimento è il seguente: a causa del condizionamento sociale che subiamo per tutta la vita, ci è difficile capire chiaramente cosa differenzi davvero gli uomini dalle donne, al di là di una mera forma e funzione fisiologica. Esistono delle differenze reali per quanto riguarda il temperamento, la capacità, il talento, i processi psichici, ecc? E nel caso, quali sono?
Siamo su Gethen (Inverno), un pianeta costantemente avvolto dal gelo e abitato da persone prive di genere. Le Guin lə chiama uominidonna e sono individui che entrano in un periodo di estro sessuale soltanto per 4 o 5 giorni al mese e questo periodo è chiamato kemmer. Quando ə gethenianə non sono in kemmer sono privi di ogni impulso sessuale, impotenti, nonché androgini. In sostanza, i loro organi riproduttivi sono in somer, ovvero a riposo. Inutilizzabili. È interessante osservare che, quando unə gethenianə è in kemmer, il suo impulso sessuale diventa incontrollabile, eppure può accoppiarsi soltanto con unə altrə individuo in fase di kemmer. In questa fase vi è una predominanza ormonale da parte di unə deə due partner che permette agli organi riproduttivi di “gonfiarsi” o “rimpicciolirsi” e di conseguenza ə partner assume il ruolo opposto (per questo motivo Le Guin si è pentita di non aver approfondito la tematica omosessuale, ammette che non necessariamente i ruoli debbano essere opposti e che è normale che possano svilupparsi gli stessi organi, ma questo viene suggerito solo in saggi posteriori all’opera).
La questione più interessante è questa: quando unə gethenianə è in kemmer deve fare l’amore e tuttə si aspettano che lo faccia. Unə gethenianə non può avere rapporti con un gethenianə non consenziente, perché dal momento in cui si è in kemmer l’impulso sessuale predomina completamente la personalità dell’individuo. E i rapporti sessuali possono avvenire solo e soltanto tra individui in kemmer.
Ed ecco il punto: ə gethenianə sono in perfetto equilibrio con la loro parte maschile e la loro parte femminile. La prima tendente all’aggressività, la seconda alla pazienza. La prima è lineare, la seconda ciclica. Nella società di Le Guin non ci sono state grandi migrazioni, grandi sbalzi demografici, grandi guerre; ə gethenianə hanno sviluppato la loro tecnologia senza sfruttare la natura e infine, non avendo la sessualità come fattore continuativo, hanno fatto in modo di sfatare il tabù del sesso, non potendo stuprare o essere stupratə, creando le case del kemmer dove ognunə può trovare partner sessuali. E quindi: se fossimo socialmente ambisessuali, se gli uomini e le donne fossero davvero
del tutto uguali nei loro ruoli sociali, uguali giuridicamente ed economicamente, uguali nella libertà, nella responsabilità e nell’autostima, allora la società sarebbe totalmente diversa. […] Il nostro problema principale non sarebbe quello attuale: il problema dello sfruttamento – sfruttamento della donna, dei deboli, della Terra. La nostra sventura è l’alienazione, la separazione dello yang dallo yin. Invece della ricerca di equilibrio e integrazione, lottiamo per il dominio. […] Il dualismo di valori che ci distrugge, il dualismo superiore/inferiore, dominante/dominato, possessore/posseduto, sfruttatore/sfruttato potrebbe cedere il passo a quella che mi appare, da qui, una modalità di integrazione e integrità molto più salutare, sensata e allettante.
(1) Ursula K. Le Guin, I sogni di spiegano da soli – SUR 2022 p. 45
Riflessione sul mio genere
Tralascerò altri aspetti del libro che non sono utili al fine di questa riflessione. Quando ho letto La mano sinistra del buio avevo 23 anni – e a calcio con gli amichetti non ci giocavo più –, scoprire una società del genere mi fece aprire gli occhi su un aspetto molto importante della percezione che avevo di me stessa e di quella altrui: non ero infastidita di essere percepita come un maschio semplicemente perché mi sentivo femmina. Ero infastidita perché le caratteristiche che riconosco nella società come maschili, erano tutto ciò da cui volevo tenermi lontana. L’aggressività, il predomino, lo sfruttamento, la presa di potere, di spazio, l’arroganza. Tutto questo per me significava mancanza di rispetto verso altre forme di vita ed era anche uno dei motivi della mia grande sensazione di disagio alla presenza di alcuni individui di genere maschile.
Il limite quindi, in questo caso, era mio? Oppure della società? Perché ai bambini non importa niente che tu sia maschio, femmina, trans, biancə, nerə, etero, gay, bisessuale ecc. Loro non fanno questo tipo di associazioni. Però i bambini assorbono quello che sentono dire dagli adulti: ed è per questo che noi ora dobbiamo decostruire le cazzate dei grandi, che sin da piccolə ci hanno massacrato con frasi del tipo: una signorina sta seduta composta, tuo fratello può perché è maschio, tu sei femmina aiuta tua madre, stai zitta, non puoi perché sei femmina, non andare in mezzo ai maschi, non giocare a calcio, i videogiochi sono da maschi e blablabla.
Ed eccoci qua. A decostruire. Piano piano. Tutto quello che abbiamo interiorizzato. Perché quelli prima di noi non lo hanno fatto. Perché in fondo si è sempre fatto così.
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Galassia Clandestina
Quello che hai appena letto è il primo articolo di Galassia Clandestina uno spazio dove condividere, esplorare e conquistare idee, mondi e costellazioni. Qui troverai di tutto: queerness, film, serie tv, libri, manga, anime, videogiochi e marketing. Questo è uno spazio di dialogo, tra tuttə, dove sentirsi al sicuro nel condividere anche ciò che è personale.
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