Nel 1983, Ida Dominijanni compilò per il supplemento di Noi Donne una mappa del “post-femminismo”. All’epoca il termine non aveva ancora la concezione che le avrebbero dato, pochi anni più tardi, studiose come Rosalind Gill o Angela McRobbie. Il senso dell’articolo era più che altro capire cosa fosse rimasto, dopo la baraonda degli anni ’70, di quel movimento così capillare. Noi Donne aveva inviato alle abbonate una “cartolina antiriflusso” e aveva ricevuto 124 schede da tutta Italia, da cui aveva concluso che “anche quando si appanna la visibilità politica del movimento, i processi di aggregazione non scompaiono né si inabissano, ma anzi procedono per le vie più varie”.
Ho provato a fare lo stesso, per capire quanti gruppi femministi e transfemministi esistano oggi in Italia. Ho creato un questionario e l’ho fatto circolare negli ambienti del movimento, ricevendo nel giro di pochi giorni oltre 150 risposte. I gruppi sono tra i più diversi per finalità e organizzazione: c’è chi si occupa di contrasto alla violenza di genere, chi organizza iniziative culturali, ma ci sono anche palestre popolari (come Le Sberle a Milano, che organizza corsi di boxe con impostazione femminista), gruppi di lettura e club del libro (come quello organizzato dalla scrittrice Carolina Capria), chi si occupa di educazione economica e gender pay gap (come la rete Pari Merito, diffusa in tutte le regioni d’Italia) e chi di stregoneria (come la Scuola di Stregheria online e La casa delle streghe a Saviore dell’Adamello),
Il femminismo sembra essere presente in tutte le zone d’Italia, dalle grandi città ai centri minori. Il gruppo più numeroso è rappresentato dai nodi di Non Una Di Meno, la rete nata nel 2016 sulla scia delle proteste contro la violenza maschile in America Latina. La rete si estende in tutta Italia, con l’ultimo nodo nato a Udine lo scorso settembre. Ma oltre a Non Una Di Meno, una presenza ormai fissa del movimentismo femminista, negli ultimi anni sono nate numerose iniziative indipendenti: il 57% di chi ha risposto non è affiliata a nessuna rete o gruppo più grande e nel 36% dei casi è addirittura l’unica realtà operante sul territorio. La presenza nei piccoli centri sembra segnalare una grande vitalità del femminismo nel nostro Paese. Il dato è coerente con il 1983. Dominijanni all’epoca notava che «le risposte sono arrivate da tutta Italia, e significativamente non solo da grandi città. Rispondono infatti moltissimi gruppi di piccoli centri, e con motivazioni del tutto simili a quelle dei gruppi delle grandi città. Un primo indicatore, questo, della “diffusività” delle aggregazioni femminili oggi, assai di più che nella “fase alta” del movimento femminista».
Oggi l’impressione è quella sì di trovarsi in una “fase alta” del femminismo, ma anche in una fase che ha raggiunto, anche grazie alla capillarità di internet, una diffusione senza precedenti. Sono molte le risposte al questionario che testimoniano infatti un passaggio dall’online al territorio. Va rilevato, in questo senso, soprattutto il movimento Purple Square, nato per portare avanti la memoria e l’operato di Michela Murgia. Le attività sono nate in chat Telegram ma proseguono anche in presenza tramite raduni e iniziative nelle varie città.
Al di là di Internet, resistono le forme più tradizionali di aggregazione. Oltre alle organizzazioni nate negli ambienti universitari, che vanno oltre il semplice diritto allo studio, ma si occupano anche di educazione sessuale, carriere alias e tutela dei diritti degli e delle studenti, vanno segnalati anche gruppi femministi che operano in ambito professionale, come Amleta, che si occupa del mondo dello spettacolo, o il gruppo Genere di Mi Riconosci, per chi lavora nel settore culturale.
Un altro tema molto presente, strettamente collegato all’eredità dei gruppi mutualistici degli anni ’70, è quello della salute. Si va dall’educazione femminista di LaMALAEducation, che ha aperto uno sportello all’Università di Bologna, alla rete calabrese di Riprendiamoci i Consultori, nata con l’obiettivo di riaprire i presidi sanitari abbandonati o in situazioni di degrado. Ci sono le Medicə Transfemministə, gli sportelli autogestiti come la Consultoria FAM di Torino e comitati per la salute come quello dedicato alla Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo, che nel 2022 ha presentato un disegno di legge per il riconoscimento, la diagnosi e la cura di queste patologie.
Questa nuova generazione di gruppi e movimenti si affianca alle realtà storiche che restano in piedi dagli anni ’70, come le numerose Case delle donne e centri culturali, nonché all’importante lavoro dei centri antiviolenza di impostazione femminista (oltre 80, secondo la rete D.i.Re), che oltre a svolgere la vitale funzione di contrasto alla violenza di genere, fungono anche da presidi culturali. Inoltre, oggi molti gruppi femministi e transfemministi si trovano a lavorare in sinergia con i gruppi LGBTQ+, complicando la mappa dell’attivismo in Italia.
A dispetto della crisi del femminismo che si sta affacciando negli Stati Uniti, segnata anche dalla disfatta del ribaltamento della sentenza Roe v. Wade, l’impressione è che in Italia il femminismo continui a espandersi, ben oltre le esperienze ormai consolidate come “Non Una Di Meno”, arrivando ovunque.
[Foto Syder Ross]