Esistono molti termini per definire le persone che non si identificano nel sesso che gli è stato assegnato alla nascita, esistono svariate sfumature, diverse culture e sensibilità. Nell’immaginario collettivo, così come nel vocabolario comune, continuano ad aggiungersi termini nuovi per definire tutte quelle persone, e sono tante, che sfidano il tradizionale sistema sessuale binario basato sulla divisione tra maschio e femmina, uomo e donna, ma anche tra “gay” ed “etero” e, a livello ancora più profondo, tra sesso e genere. Come sappiamo, essere transgender ha un significato vitale per chiunque è coinvolto, uomo o donna che sia. Le persone trans non s’identificano nel loro genere di nascita, ma ciò non condiziona il loro orientamento sessuale, che può essere etero, omosex, bisex o anche asessuale. Per il transessualismo l’operazione chirurgica di cambio sesso può rappresentare il traguardo verso la ritrovata identità, ma non è detto che per essere transgender vi si debba per forza fare ricorso.
Se, per paradosso, i film con trans verə non sono ancora tanto diffusi, almeno la cinematografia ha affrontato la questione, con risultati a volte interessanti. Come si può immaginare hanno trovato raramente rappresentazioni sullo schermo per la maggior parte della storia del cinema, ad eccezione dei travestiti nelle commedie un po’ becere e dei transessuali nei film thriller e horror per rappresentare il malato di mente. Basti pensare al più famoso di tutti, il Norman Bates (Anthony Perkins) di Psyco (di Alfred Hitchcock, USA 1960) che si traveste per ottenere la piena identificazione con la madre morta (con tanto di sdoppiamento della voce, la propria e quella della madre) un tipico caso di doppia personalità associato a una tendenza omicida, attraverso cui uccide le donne (celebre la scena della doccia) per controbilanciare la sua attrazione sessuale e il senso di colpa associato. Una roba degna di Franca Leosini insomma. Per troppo tempo il cinema si è servito della figura archetipica del transessuale per strappare una risata o per raccontare un disagio sociale che culminava quasi sempre col suicidio. Solo negli anni ’90 i film hanno iniziato a includere le persone trans come veri personaggi e ad affrontare le loro vite in modo più realistico e rispettoso.
In questo articolo ho voluto scegliere dei titoli esplicativi e paradigmatici di questa ricerca. Ovviamente non posso citarli tutti ma quelli che secondo me hanno segnato una pietra miliare.
Il Diavolo è femmina (George Cukor, USA 1935) – In questa deliziosa commedia del regista omosessuale autore di veri cult-movies come Scandalo a Filadelfia, Donne, Nata ieri e My Fair Lady, la meravigliosa Katherine Hepburn, l’attrice più androgina di sempre, nel ruolo di Sylvia Scarlett, per sviare la polizia, si traveste da ragazzo e diventa… Sylvester, facendo innamorare di sé il bel Cary Grant. Un po’ come succedeva a Gwyneth Paltrow in Shakespeare in Love.
A qualcuno piace caldo (Billy Wilder, USA 1959) – Il capolavoro del maestro della commedia, nato nel Regno Austroungarico in una città oggi polacca, ma trasferitosi presto ad Hollywood, mette in scena le vicende di due musicisti squattrinati (Tony Curtis e Jack Lemmon) che, per sfuggire ai gangster che li inseguono, si travestono da donne ed entrano a far parte di un’orchestrina femminile, dove la cantante Sugar (una Marilyn Monroe più burrosa che mai) scatenerà il loro desiderio sessuale (ricordandoci così che sono indiscutibilmente eterosessuali…). Tuttavia, attraverso questo capovolgimento di ruolo, i due vivranno nuove esperienze, poiché travestite da donna, attireranno la rude attenzione dei maschi… facendo loro capire cosa significhi essere una donna in un mondo che, come avrebbe detto bene Michela Murgia, è dominato dallo sguardo maschile… serve ricordare la battuta finale? Quella che è entrata di diritto nella storia del cinema come uno dei finali più belli? No, non serve.
The Rocky Horror Picture Show (Jim Sharman, GB 1975) – Il dottor Frank N. Furter, uno scienziato pazzo, con calze a rete smagliate e rossetto scarlatto, è in realtà un travestito alieno proveniente dal pianeta Transexual nella galassia della Transilvania (sic!). Il suo credo è “don’t dream it, be it” e, forte di questo, riesce a sedurre uomini e donne. Il film lanciò una giovanissima Susan Sarandon e divenne immediatamente un cult.
L’inquilino del terzo piano (Roman Polanski, Francia 1976) – In questo film del maestro della suspance, degno erede di Alfred Hitchcock, un impiegato polacco (interpretato dallo stesso Polanski) affitta un appartamento che è stato teatro del suicidio dell’inquilina precedente, una giovane donna. Cominciano le visioni, le manie di persecuzione, le paranoie. Diventa ossessionato dall’idea della donna, fino ad impossessarsi della sua personalità e ad indossarne i vestiti. Anche in questo caso, quindi, il travestimento è visto con un’accezione negativa, vagamente perversa e sicuramente morbosa. In termini psicanalitici, si potrebbe parlare della sua paura inconscia dell’essere donna. Alla fine, ovviamente, si suicida anche lui.
Un anno con tredici lune (Rainer Werner Fassbinder, Germania 1978) – Profondamente colpito dal suicidio, avvenuto nell’estate del ’78, del suo compagno, Fassbinder girò questo film in soli 25 giorni, curandone anche la fotografia. Il titolo fa riferimento alla particolare congiuntura astrale che avviene solo sei volte in un secolo. Il film mette in scena gli ultimi cinque giorni di vita di Elvira/Erwin una persona transessuale che rievoca il suo passato. Abbandonato da bambino in un orfanotrofio, perché illegittimo, da adulto si impiega come macellaio nel mattatoio di Francoforte. Incontra Anton Saitz, un ebreo, sopravvissuto ai lager e divenuto ricco con la speculazione edilizia e con la prostituzione organizzata. Nella speranza di ottenere il suo amore e convinto che l’unico ostacolo sia il suo sesso, Erwin decide di operarsi e diventare donna. Appreso del cambiamento di sesso, Anton Saitz, dopo averla umiliata la lascia. Elvira, rimasta sola, cade in una depressione e respinta da tutti, si suicida.
La legge del desiderio (Pedro Almodovar, Spagna 1987) – Un melodramma nello stile tipico del regista andaluso. Un famoso regista è innamorato di un uomo che non sembra ricambiare i suoi sentimenti. Sua sorella Tina, che a volte recita nei suoi film, si occupa come una madre di Ada, una bambina di 10 anni figlia di una fotomodella sempre in giro per il mondo. Questo è solo l’inizio, poi cominciano una serie di tragedie, incidenti, omicidi, agnizioni varie, perdite di memoria e perfino un rapporto incestuoso col padre. Carmen Maura, che per anni è stata l’attrice feticcio di Almodovar (prima di essere rimpiazzata dalla compianta Marisa Paredes, poi da Penelope Cruz), interpreta Tina, la sorella che si rivela essere transessuale. Eravamo negli anni ’80. Anni dopo, con Tutto su mia Madre, Almodovar per il ruolo di Agrado, chiamerà una vera donna transessuale.
Mery per sempre ( Marco Risi, Italia 1989) – Fa piacere che anche da noi si sia parlato di transessualità in modo onesto e non caricaturale. A pensarci è stato Marco Risi nel 1989 con un film tratto dall’omonimo romanzo di Aurelio Grimaldi, ambientato in un carcere minorile palermitano. Il titolo prende spunto dalla storia di Mery Libassi, una prostituta transessuale che viene arrestata per aver ferito un suo cliente, e la interpreta la bella e brava Alex di Sanzo.
Il silenzio degli innocenti (Jonathan Demme, USA 1991) – Questo celebre thriller, che valse l’Oscar ai suoi due protagonisti Jodie Foster e Anthony Hopkins, racconta di un’agente dell’FBI sulle tracce di un serial killer che uccide le sue giovani vittime. Presto il tutto si trasforma in un viaggio nell’inconscio che custodisce la chiave del Male che si incarna in ognuno di noi. Il serial killer si rivela un transessuale a cui è stato rifiutato l’intervento di cambio di genere: nel suo odio verso tutte le donne (cioè verso ciò che non può essere), le uccide e le squoia per poter indossare la loro pelle. La storia mette in scena l’assassino come un mostro, partendo dal presupposto che i transessuali si sentono “nella pelle sbagliata”. All’epoca della sua uscita ci furono molte proteste da parte della comunità, ormai stufa di vedersi sempre rappresentata in stereotipi negativi.
La moglie del soldato (GB 1992) – Premio Oscar alla miglior sceneggiatura, realizzato da Neil Jordan, è un noir politico ambientato in Irlanda, negli anni degli attentati terroristici dell’IRA: i protagonisti sono Dil, una ragazza trans, e Fergus, appartenente alle forze terroriste. L’attore che interpreta la ragazza transessuale, tale Jaye Davidson, sorprese pubblico e critica ed ebbe anche una candidatura all’Oscar al miglior attore non protagonista. Per la serata degli Oscar 1993, i vari commentatori si chiedevano come si sarebbe vestito l’attore. Alla fine si presentò con un’uniforme femminile equestre e stivali di cuoio alti fino alla coscia. Il suo personaggio per una volta è positivo, il pubblico è dalla sua parte.
Priscilla – La regina del deserto (Stephan Elliott, Australia 1994) – Pellicola cult che racconta del viaggio di una transessuale e di due drag queen su di un eccentrico torpedone chiamato, appunto, Priscilla la regina del deserto, alla volta di Alice Springs. Ovviamente il mezzo avrà un guasto nel bel mezzo di niente. L’intervento di un meccanico di larghe vedute e di un bambino fin troppo saggio, porteranno all’epilogo felice. Si ride e ci si commuove anche un po’. Gli attori, Terence Stamp, Guy Pearce e Hugo Weaving, sono fenomenali.
Boys Don’t Cry (Kimberly Peirce, USA 1999) – Il film racconta la storia (vera) di Teena Brandon, ed era già stata oggetto di un bellissimo documentario, The Brandon Teena Story . Un transgender biologicamente donna, la sua vita tranquilla tra gli amici e i ragazzi della sua città, che lo credono un maschio. Finché non viene a galla la verità e lo uccidono. Brandon nel film è interpretato da Hilary Swank, che ha vinto l’Oscar per la sua performance, scatenando non poche polemiche.
Breakfast on Pluto (Neil Jordan, GB, Irlanda 2005) – La pellicola vede protagonista Cillian Murphy (futuro premio Oscar come protagonista di Oppenheimer) nei panni di una donna transgender alla ricerca della madre scomparsa nella Londra negli anni ’70. Abbandonato alla nascita davanti alla porta di un parroco di campagna, un bambino viene affidato alle cure della perpetua. Cresciuto nell’Irlanda degli anni sessanta, Patrick comprende di essere transgender. Il suo gruppo di amici è composto da un ragazzo affetto da sindrome di Down, una ragazza nera e un militante dell’IRA. Dopo aver scoperto di essere il figlio del parroco, Patrick, con il nuovo nome di Kitten, parte alla volta della capitale alla ricerca della madre. Comincia così un viaggio attraverso episodi fondamentali della Guerra civile irlandese. Questo sarà anche un viaggio alla ricerca di sé.
Transamerica (Duncan Tucker, USA 2005) – Sabrina, in passato Stanley, è una donna transgender in attesa dell’intervento di cambio del sesso. Lavora in un fast food e mette da parte i soldi per pagare l’operazione. Finché un giorno riceve una telefonata dal carcere minorile di New York city da parte di un ragazzo che dice di essere il figlio di Stanley. Lei risponde “Stanley non vive più qui”. La poveretta era del tutto ignara di avere un figlio, nato dal suo unico rapporto sessuale al college 17 anni prima (classico errore di gioventù) e del fatto che la madre si fosse suicidata. Quando lo racconta alla sua psicoterapista, dicendole che non è intenzionata a incontrare il figlio perché vuole rompere col suo passato, questa le dice che non firmerà l’autorizzazione per l’intervento finché lei non lo avrà conosciuto. Per questo ruolo Felicity Huffman è stata nominata per l’Oscar alla miglior attrice e ha ottenuto il Golden Globe.
Laurence Anyways (Xavier Dolan, Canada 2012) – Dolan è un autore molto amato dalla comunità LGBTQIA+ e in questa pellicola parla del percorso di transizione di Laurence, che al contempo, però, vive una storia d’amore con una donna, Frederique: lei saprà sostenerlo e aiutarlo ad accettare la sua identità non senza qualche crisi di nervi, di quelle che contraddistinguono il cinema di questo enfant prodige canadese. Grazie all’attore francese Melvil Paupaud, caro a Éric Rohmer e a François Ozon, il personaggio protagonista risulta veramente complesso e tridimensionale.
Dallas Buyers Club (Jean-Marc Vallée, USA 2013) – Il film racconta la storia vera di Ron Woodroof, un malato di aids diagnosticato a metà degli anni ’80, quando i trattamenti per l’hip/aids erano poco studiati, mentre la malattia era altamente stigmatizzata. Come parte del movimento sperimentale per il trattamento dell’aids, contrabbandava farmaci non approvati in Texas per curare i suoi sintomi e li distribuiva a persone malate. In questa occasione conosce Rayon, una donna transgender tossicodipendente e sieropositiva. La pellicola ha ricevuto ben sei candidature ai premi Oscar 2014, tra cui miglior film e migliore sceneggiatura originale, e ha vinto in tre categorie, incluse miglior attore protagonista e miglior attore non protagonista, assegnati rispettivamente a Matthew McConaughey e Jared Leto. Un bellissimo personaggio quello della donna transgender al quale Jared Leto regala una verità inedita.
The Danish Girl (Tom Hooper, 2015) – Il film tratta liberamente della vita delle pittrici danesi degli anni ’20 Lili Elbe e Gerda Wegener. Lili in realtà è Einar, marito di Gerda, il quale una volta, posando per lei al posto di una modella assente, quasi per gioco, inizia a prendere coscienza del fatto di essersi sempre riconosciuto nel sesso opposto, nonostante abbia tentato di nasconderlo a se stesso e alla società; comincia perciò ad abbandonare sempre più spesso i panni e il genere precedenti per essere finalmente la ragazza danese del titolo. Ciò ha ovviamente ripercussioni sul matrimonio con Gerda, che comincia a non riconoscere più suo marito; decide però di starle vicina, anzi comincia a dipingere dei ritratti in cui Lili è la modella. Man mano che il desiderio di Lili si fa sempre più forte, la coppia decide di consultare alcuni psicologi, ma nessuno sembra considerare questa realtà più che una perversione, ritenendo in taluni casi Lili una persona schizofrenica. Il suo desiderio di essere donna a tutti gli effetti la porta a sottoporsi a un delicato intervento di chirurgia chiamato vagino-plastica con un trapianto di ovaie (il secondo nella storia) che si rivelerà fallimentare: la donna muore il giorno dopo il secondo intervento, tra le braccia di Gerda. Eddy Redmayne, che aveva vinto l’Oscar l’anno prima per La teoria del tutto, è stato molto coraggioso ad interpretare questo ruolo, inizialmente proposto, pensate un po’, per Nicole Kidman (che pure di chirurgia se ne intende).
Una donna fantastica (Una mujer fantástica, Sebastián Lelio, Cile 2017) – Marina Vidal è una giovane donna transessuale che fa la cameriera ma sogna di essere una cantante lirica, che vive a Santiago del Cile ed ha una relazione con Orlando, di 20 anni più grande di lei. Dopo aver festeggiato focosamente il compleanno di Marina, Orlando ha un malore e la donna lo porta immediatamente al pronto soccorso, dove lui poco dopo muore: la donna, viene subito vista con sospetto dai medici e dalla famiglia di lui, che avviano delle indagini su di lei per vedere se è coinvolta nella morte dell’uomo. Per la famiglia di Orlando la sua identità di genere è un’aberrazione, una perversione, e per questo viene ostacolata in ogni modo. Le viene vietato di partecipare al funerale e rischia di essere cacciata dall’appartamento che divideva con Orlando (quante volte abbiamo sentito di storie simili? Succede ogni giorno). Marina dovrà lottare per il diritto di essere se stessa, avendo speso tutta la sua vita per diventare ciò che è oggi: una donna fantastica. Premi Oscar 2018 come miglior film straniero.
Emilia Perez (Jaques Audiard, Francia 2024) – Un film potente, un musical, che ha avuto ben 13 candidature agli Oscar (il film non in lingua inglese più nominato di tutti i tempi, ne porterà a casa solo due, per l’attrice non protagonista Zoe Saldana, che avevamo vista in versione verde nell’Avatar di James Cameron e per la canzone originale). Nel ruolo del titolo c’è una attrice realmente transessuale di nome Karla Sofia Gascon, che ha commosso il mondo intero (si fa per dire) quando, aggiudicandosi il Golden Globe, ha fatto un discorso molto potente dicendo testualmente: “potete metterci in prigione, potete torturarci, ma non potrete mai toglierci l’anima, la resistenza, l’identità”. Con l’amministrazione Trump che sta mettendo la comunità trans ai margini sociali, in tanti auspicavamo nella sua vittoria come attrice protagonista. Ora, il problema, è che la signora in questione, una volta diventata universalmente nota grazie al film, non ha pensato bene di cancellare dei vecchi tweet e qualcuno è andato a trovarli. In questi messaggi lei diceva cose poco edificanti sulle minoranze etniche, sulle donne col velo, commenti su George Floyd, gli immigrati provenienti da Paesi arabi e, più in generale, “le religioni che vanno contro ai valori europei”. Così è montato lo scandalo, in molti hanno preso le distanze da lei, a partire da Netflix che non ha più voluto pagare le trasferte per i suoi viaggi promozionali, e addirittura il regista le ha chiesto di fare un passo indietro. L’america, culla del politicamente corretto, non ha retto il colpo e l’ha “cancellata”. Alla serata degli Oscar non ha fatto il red carpet, e nessuno dei premiati l’ha citata dal palco.