“Bellezza, addio” è il titolo del documentario ideato da Massimiliano Palmese e diretto insieme a Carmen Giardina, prodotto da Zivago Film con Luce Cinecittà. Si tratta un omaggio alla figura del poeta Dario Bellezza, una delle voci più intense e originali della poesia italiana contemporanea. Attraverso interviste e materiali di repertorio, racconta la vita e l’opera di un artista che ha saputo trasformare amori e dolori in versi forti e struggenti. Abbiamo il piacere di intervistare Massimiliano Palmese, ideatore, sceneggiatore e regista di un’opera che omaggia il celebre poeta romano, amico di Pasolini, Moravia, Morante e molti altri.
Massimiliano, come è nata l’idea di realizzare un documentario su Dario Bellezza?
Nella mia testa da tempo maturava l’idea di lavorare a un’antologia documentaria di artisti, chiamiamoli “irregolari”, eccentrici. Quelli che sono, come dice la parola, lontani dal “centro”: o perché appartati, o perché allontanati dai centri di potere politici e culturali, se non addirittura perseguitati da quei poteri, come nel caso di Aldo Braibanti, sulla cui storia ho scritto “Il caso Braibanti”, lo spettacolo e poi la docufiction. Quello dedicato a Dario Bellezza è un documentario “classico”, che su un impianto drammaturgico forte mescola materiali di repertorio, più o meno conosciuti, con interventi dei suoi amici più cari, tra cui poeti, narratori, critici. E che, soprattutto, lascia parlare Bellezza stesso, con le interviste che ha rilasciato negli anni, e poi le sue poesie, i suoi racconti, i suoi ricordi.
Qual è stato il processo creativo dietro la scrittura e la regia del documentario?
Il processo è durato anni, prima di studio dell’opera e poi di ricerca di materiali. Su questa strada ho avuto la fortuna di incontrare Marco Beltrame, che stava studiando Bellezza per la laurea magistrale, e a lui sono dovute tutte le ricerche d’archivio più attente e preziose. In seguito, mi ha spinto in avanti un po’ il senso dell’avventura e un po’ il gusto del rischio, ma credo che infine mi abbiano salvato il pudore e il desiderio di fedeltà. Se nel film sembra di sentire un coro di voci tutte partecipi e sincere, è perché a parlare di Bellezza sono state invitate solo le persone che lo hanno frequentato, conosciuto e amato davvero.
Quali sono state le sfide principali durante la produzione di Bellezza, addio?
Dopo “Il caso Braibanti”, che ha trovato in Pivio il suo “mecenate”, la sfida è stata convincere un produttore che anche quello su Dario Bellezza era un documentario da fare. Certo il Nastro d’Argento vinto nel 2021 dal “Il Caso Braibanti” ha giovato… Il mio grazie è per Andrea Di Consoli che per primo ha letto il mio soggetto e lo ha sottoposto a Enrico Bufalini di Luce Cinecittà. Contemporaneamente, si è avvicinato Rino Sciarretta di Zivago Film e la prima sfida, non facile, è stata superata. Dopodiché, tutte le altre sfide sono state solo artistiche: drammaturgiche, estetiche, stilistiche… E poi il cinema è un dialogare con altri, è fidarsi degli apporti altrui. Penso al montatore Andrea Campajola, che ha dato al girato il giusto ritmo, proponendo spesso alternative affascinanti. O al colorist Andrea Maguolo che ha regalato al film il suo colore definitivo e smaltato: il film è un caleidoscopio molto anni Ottanta di visi, parole, luoghi.
Nel documentario intervistate tutta una serie di personalità di spicco della cultura italiana, che hanno raccontato la loro amicizia con Dario Bellezza e l’influenza che ha avuto nelle loro vite. È stato difficile riuscire ad entrare in contatto con ognuno di loro?
Al contrario, è stato facile sorprenderli con l’idea di un documentario che volesse ricordare Dario Bellezza a 80 anni dalla nascita. Hanno tutti pensato che fosse doveroso ricordare l’uomo Dario e il poeta Bellezza. O, come qualcuno lo chiamava per gioco, Beltà.
Finora qual è stata la reazione del pubblico e della critica a Bellezza, addio?
Quelli che hanno conosciuto Bellezza mi hanno detto che “il film gli somiglia”, è tra i complimenti che mi fanno più piacere. Il pubblico in genere un po’ si diverte e un po’ riflette, e alla fine ne esce commosso. Era quello che volevo.
C’è un messaggio che avete voluto trasmettere con quest’opera?
Come diceva Paolo Poli, “il messaggio lo lascio alla segreteria telefonica”. Quello che credo invece si debba fare in poesia o al cinema, ma in genere in ogni arte, è lasciare nell’opera “l’interstizio”, ovvero lo spazio più ampio possibile alle letture del pubblico, alle valutazioni e alle interpretazioni. Poi, certo, è normale che un film su un poeta ci dica, ci sussurri anzi, che abbiamo bisogno di poeti e di poesia. E che ogni nuova generazione ha bisogno di una nuova voce.
Qual è stato il momento più significativo o emozionante durante la realizzazione del documentario?
Ho condotto le interviste a Barbara Alberti, a poeti amici come Elio Pecora, Renzo Paris, Maurizio Gregorini, a quel finto burbero di Franco Cordelli, allo storico dell’arte Giuseppe Garrera: sono state tutte impegnative da preparare, leggendo con Marco Beltrame il più possibile dei loro scritti. Ma quando Nichi Vendola, guardandomi negli occhi, mi ha raccontato dei tanti suoi amici morti per AIDS negli anni Ottanta, di fotografie di gruppi felici al mare che improvvisamente gli sono sembrati come “dei cimiteri” (“Erano morti tutti, tutti.”), io che quegli anni li ho vissuti e patiti, emotivamente sono stato trafitto. Ho fatto le domande successive con le lacrime agli occhi.
Dario Bellezza era molto amico di Pasolini e, come lui, spesso è stato incompreso. A tuo avviso, quali sono le motivazioni per le quali non è stato capito fino in fondo?
Qualcuno sostiene che per un poeta, vale forse per gli artisti in genere, essere “incompresi” è un bene. Alimenta il fuoco.»
Secondo te, qual è stato il contributo di Dario Bellezza alla cultura e alla letteratura italiana?
Come dice Massimo Consoli in un filmato di repertorio, “Dario è la storia della poesia, è la storia del romanzo moderno (a tema omosessuale)”, ed è un pezzo straordinariamente prezioso del movimento italiano per i diritti LGBTQ+. Sarebbe interessante raccogliere in un volume tutti i suoi interventi su giornali e riviste, e restituire così certe sue illuminazioni, per non dire profezie. Sarebbe una vera sorpresa.
In Bellezza, addio emerge anche un confronto tra la vita di un tempo, dagli anni Sessanta agli Ottanta, e quella attuale.
Alcuni pensano che la cultura e la poesia oggi siano morte, o quasi. Io non lo penso. Muoiono le vecchie forme e ne nascono di nuove, per fortuna.
A tuo avviso, c’è qualcosa che noi Millennials e Gen Z possiamo imparare dall’esperienza di vita di Dario Bellezza, anche con la visione del tuo documentario?
Riguardo a Bellezza (e non solo a lui, penso anche a Sandro Penna), spesso si parla di “sacerdozio della poesia”, ovvero di una passione totalizzante, assoluta. Non si può insegnare né imparare una passione, ma ci si può ispirare a chi la propria l’ha vissuta con coraggio estremo, con il gusto, l’erotismo quasi, della libertà.
Ti ribalto la domanda. C’è qualcosa che la generazione di Dario Bellezza potrebbe imparare da noi?
Non si deve credere che ogni generazione sia chiusa in sé e impermeabile al presente. Non solo la generazione di Bellezza (che è quella, per esempio, dei miei genitori), ma anche la mia, sono in continuo ascolto delle novità di cui sono portatori i giovani e i giovanissimi. I movimenti per l’integrazione, quelli per la lotta ai cambiamenti climatici o contro le nuove guerre, ci vedono ammirati e mobilitati insieme alle nuove generazioni. Magari ci addolora non aver fatto di più e meglio. Vi lasciamo un mondo che non abbiamo saputo cambiare e che è ancora tremendamente uguale a quello che abbiamo ereditato noi stessi.
Usciamo un po’ fuori dal topic… Quali saranno i tuoi progetti futuri?
Ho intenzione di proseguire con il progetto di raccontare i poeti, nonché le persone, del movimento culturale LGBTQ+. Infatti, di recente ho scritto la docufiction “Vita di Sandro Penna” che, prodotta da Lumen Film, inizierò a girare dopo l’estate. Inoltre, sto scrivendo una serie crime.
Insomma, uno degli elementi più toccanti del documentario è il confronto tra la figura di Bellezza e i giovani di oggi. In un’epoca in cui la poesia sembra aver perso il suo fascino e la sua capacità di emozionare, Dario Bellezza rappresenta un faro nella notte, un esempio di come il vivere di emozioni possa ancora trovare spazio nelle parole.
Il suo “fuoco” interiore, quella passione bruciante e incontenibile che lo animava, sembra essere un dono ormai raro tra i giovani di oggi. Troppo spesso la poesia viene considerata antiquata o elitaria, mentre in realtà potrebbe essere un’arma potente per combattere la superficialità e il vuoto che sembrano dominare la nostra società.
Il documentario ci restituisce il ritratto di un artista fragile e tormentato, ma anche di un uomo coraggioso e puro. La sua voce, le sue parole, ci fanno comprendere che la poesia non è solo una questione di forma, ma di sostanza, di urgenza interiore. In un periodo in cui la comunicazione sembra essere sempre più rapida e superficiale, “Bellezza, addio” ci ricorda l’importanza della riflessione e della profondità, anche nella costante frenesia. Ci invita a riscoprire il potere della parola, della scrittura, della poesia, come strumenti per esprimere il nostro dolore e la nostra bellezza, per trovare il senso delle nostre vite.
Nella realtà che viviamo, sempre più alienante e disumanizzata, Dario Bellezza ci insegna che la bellezza può essere trovata anche nella sofferenza, che la poesia può ancora avere un ruolo vitale nelle nostre esistenze. E ci ricorda che, forse, quel “fuoco” che ci arde dentro sta solo aspettando di essere acceso dalle parole giuste.
Qui trovate il TRAILER del documentario.
Se siete interessat3 alla visione di “Bellezza, addio”, le prossime proiezioni si terranno in queste date:
- 20 maggio @ TIQU di Genova.
- 5 giugno @ Cinema Modernissimo di Bologna (in collaborazione con la Cineteca di Bologna).
- 26 giugno @ Teatri di Vita di Bologna.
- 20 luglio @ Villa d’Este di Tivoli (RM).