Mohamed Maalel, giovane scrittore italotunisino, per Aut ha scritto un racconto inedito dandoci la sua interpretazione, drammatica e dolorosa, dei corpi invisibili.
Forse me lo merito, forse è arrivato il tempo di una resa eroica. Ma io non sono un eroe, ho fallito tante volte. Il pavimento puzza di ammoniaca, diventa dipendenza nelle mie narici. Spingo il mio viso più forte, avverto il freddo che mi congela le guance.
Terra, perché non recuperi il mio corpo? Hai rubato la mia anima, ne hai fatto il tuo gioco. Spero tu abbia almeno vinto. Perché hai scelto di giocare con me? Perché non mi hai abbandonato come hai fatto con gli altri? Non so se cercare Dio, non so se smettere di respirare quest’aria che mi pesa nei polmoni. Ogni soluzione mi accontenta, ogni momento è perfetto per fallire. Sento il peso del mio squallore, sento di non meritarmi neanche un briciolo di compassione. Non averne neanche tu, che in questo momento leggi le mie parole.
Sei fortunato, non me ne compiaccio. Perché non vieni qui a recuperare il mio corpo senza anima? Sono un reietto, sono una disgrazia. Sono un fantasma che abita ogni angolo della tua casa, cacciami o benedici la mia anima. Riesci a vedere il mio corpo stesso su questo pavimento? Non sono io, ho smesso di essere un uomo, ne assumo solo i contorni. Sono un disegno tratteggiato male, non posso più correggere i miei difetti. Non so più gattonare, riesco a spingere il mio corpo da una stanza all’altra come un peccatore che cerca il perdono.
Sono un lamento, una tempesta il giorno del tuo compleanno. La mia bocca non prova gusto, le mie orecchie avvertono il rumore della tua voce. Non giudicarmi, puniscimi. Perché è tutta colpa mia. È colpa mia se il mio corpo non è più tra i tuoi desideri. Smettila di avere compassione. Non ne voglio, non cura il mio malessere. Pensi che basti una parola di conforto per stare meglio?
Voglio tornare alle origini, rivoglio il grembo materno. Voglio correre verso mia madre, voglio scappare e farmi male. Ma tu non scappare, non provare compassione.
Mi ricordi Andrea, i suoi occhi pieni di clemenza. Lui rideva mentre affannato cercavo di abbassargli i pantaloni. Sono un affamato che cerca di non morire di fame.
Mi ha preso di peso, mi ha adagiato a letto come una madre fa con un figlio. Le mie gambe penzolavano senza forza, lui le stringeva a sé con sicurezza.
Fammi sentire qualcosa, fammi capire che questo corpo sa ancora provare piacere.
Ho pianto, lui mi ha lasciato cadere a terra dall’imbarazzo. Gli ho sputato in faccia, dannato di un uomo. È scappato, ha lasciato la porta di ingresso spalancata. Perdonami Andrea, torna da me. Perdona questo corpo. Perdona questo uomo.
Sono un essere immobile, una disgrazia alla tua libido. Eppure avresti dovuto vedermi correre, avresti dovuto aspettare il mio arrivo sotto la pioggia. Invece hai osservato un corpo che si lascia andare, che non ha più intenzioni. Le mie gambe sono ferro, il mio cuore si muove in senso antiorario. Sono malato, ti prego di capirmi. Anzi odiami, ti capirò.
Intanto resto qui a fissare i contorni del pavimento. Potrei lasciarmi morire, o potrei provare a lanciare quella dannata sedia a rotelle dal balcone. Farei di tutto per dimostrarti che sono più forte della mia malattia. Ogni uomo vive di istinti, di voglie, di leggi morali. Ho voglia di crollare, ho voglia che tu mi riprenda in braccio. Ma non si può raccogliere un corpo se è vuoto dentro. Non riesco a darti piacere, non riesco a provarne. Non sono sensualità, non sono un desiderio proibito. Sono un debole, mi faccio schifo. Merito di restare qui, merito di non avere una persona da aspettare a casa. Tu che in questo momento leggi le mie parole di disgrazia, puoi amarmi? O puoi curarmi? In tal caso perdonami, in ogni caso salvami.
Sono un invisibile, sono un lamento. Ti prego Dio, abbi pietà di me.
[Illustrazioni tratte da “Color Against Concrete”, indagine fotografica di esplorazione sul territorio urbano che stravolge la visione quotidiana del paesaggio cittadino, trasformandolo in un viaggio onirico. Opere di Cristiana Bezerra – IG: @cristiana.bezerra]