Ebbene sì, c’è stato un momento in cui non avreste mai sentito pronunciare la fatidica frase “Ho molti amici gay”. Non troppo tempo fa, incredibile a dirsi, non eravamo nemmeno gay, ma “finocchi”,“invertiti”, “pederasti”. Persone lesbiche e transgender poi non esistevano proprio! Per capire quanti passi avanti abbiamo fatto (mai abbastanza) bisogna comprendere cosa è accaduto prima nel cinema italiano.
Se chiudo gli occhi e rifletto, credo di trovare un possibile inizio nella scena finale de La Dolce Vita (1960). Non è un caso che sia stato Fellini a pensarci, da sommo genio qual era. Ve lo ricordate? C’è questo biondino che sembra un folletto, un satiro danzante (era Dominò, e chi vive a Roma se lo ricorda in quanto proprietario del bistrò Baronato 4 bellezze, dove il giovedì sera saliva sui tavoli e cantava i successi di Edith Piaf). Saltella intorno al protagonista, Mastroianni, e profetizza: “Se ne ritirano fuori due e ne vengono fuori dieci, nel ’65 sarà tutta una depravazione completa!”. Il film segna l’inizio di un grande cambiamento. Sarà lo stesso Fellini, qualche anno dopo, nel 1969, a fare il film più omoerotico della storia del cinema, quel Satyricon dove tutti gli attori efebici sono truccati e sembrano ragazze bellissime.
Sempre del 1960 anche un altro capolavoro, di Luchino Visconti, nobile milanese, intellettuale, comunista e notoriamente omosessuale. Con la scena di Rocco e i suoi Fratelli, quando l’ex pugile Duilio osserva Alain Delon mentre si fa la doccia (come biasimarlo?). Ma l’omosessualità ha attraversato tutta la filmografia del regista, con La caduta degli Dei (1969), con Helmut Berger en travesti che imita Marlene Dietrich nell’Angelo Azzurro, con Morte a Venezia (1971) dove Gustav von Aschenbach è soggiogato dalla bellezza del fanciullo Tadzio, perfetto esempio di androginìa, e ancora con Ludwig (1973) sulle vicissitudini del Re di Baviera morto in circostanze misteriose. Ma è con Gruppo di famiglia in un interno, (1974) suo testamento spirituale, che Visconti racconta senza mezzi termini l’amore tra un vecchio professore e un giovane escort (ma all’epoca non c’era stato Berlusconi e si diceva “marchetta”). Ancora oggi ci si sorprende per la forza, l’originalità e il coraggio di quel film.
Nel frattempo però c’era stato Dino Risi con Il sorpasso (1962) dove alla vista del domestico “Occhio Fino” che accoglie in una cascina toscana Vittorio Gassman, questi esclama: “Non sapevo esistessero anche checche di campagna!” dinanzi ad un imbarazzato Trintignant. Oggi, rivedendo il film, viene naturale pensare che anche il personaggio di Trintignant fosse omosessuale. Di situazioni come queste sarà costellato tutto il cinema italiano fino ai giorni nostri.
Poi per fortuna arriva Pier Paolo Pasolini, col meraviglioso documentario Comizi d’amore (1965), in cui l’autore gira per l’Italia intervistando le persone comuni e gli intellettuali, sul tema della rivoluzione sessuale. Tra gli intervistati anche Oriana Fallaci e Cesare Musatti. Le risposte mai scontate. Ma è con Teorema (1968) che accade il miracolo. Il misterioso visitatore seduce uno ad uno tutti i membri della famiglia borghese, compreso il padre e il figlio. Seguiranno altri film che affrontano la tematica, come nella cosidetta “Trilogia della vita”, fino al capolavoro Salò e le 120 giornate di Sodoma (1975) dove il poeta di Casarsa fonde l’Italia della Repubblica di Salò con la filosofia del marchese de Sade, mostrando scene di stupro, umiliazione sessuale, coprofogia e tortura. Poi stranamente venne ucciso.
Nel 1970 Bernardo Bertolucci ebbe il suo primo vero successo con Il Conformista, ispirato al romanzo omonimo di Alberto Moravia. Nel film troviamo tracce di omosessualità femminile nella relazione tra Stefania Sandrelli (la moglie del protagonista Jean Louis Trintignant) e Dominique Sanda, (moglie del professore antifascista che Trintignant vuole uccidere). Celebre la scena del ballo. Alla fine anche il protagonista si rivela essere un omosessuale represso e, per questo, fedele servo di regime.
Nello stesso anno, Vittorio Caprioli, attore popolare e compagno di Franca Valeri, firma il suo quinto film da regista, Splendori e miserie di Madame Royale, dove Ugo Tognazzi, nel ruolo, come si suol dire, del titolo, interpreta magistralmente la parte di un uomo gay dalle movenze affettate e con la passione del travestimento. La pellicola ebbe un notevole successo, anche se l’epilogo è tragico: il protagonista verrà ucciso e il suo cadavere vestito da donna sarà ripescato nelle acque di un lago. Sarà ancora Ugo Tognazzi a portare al successo, al fianco di Michel Serrault la coppia di omossessuali attempati che è entrata di diritto nella storia del cinema. Il film è una coproduzione italo-francese del 1978, per la regia di Edouard Molinaro. Sto parlando evidentemente de Il Vizietto.
Nel frattempo negli Stati Uniti i moti di Stonewall avrebbero per sempre cambiato il corso degli eventi. La comunità queer di New York, stufa delle violenze e discriminazioni, insorge contro la polizia. Qui da noi avremmo dovuto aspettare ancora molti anni perché la figura dell’omosessuale nel cinema venisse definitivamente resa “potabile”. Per molto, troppo tempo, siamo stati solo un escamotage narrativo, una figura patetica, di contorno, evocata per fare colore, per strappare una risata (si pensi ai tanti ruoli di Lino Banfi come “invertito”) o per finire -come abbiamo visto- tragicamente uccisa prima dei titoli di coda. In molti film polizieschi degli anni ’70 l’omosessuale o il travestito, sono persone disturbate mentalmente e spesso autori di efferati delitti. In Profondo Rosso, di Dario Argento (1975), il personaggio di Carlo, coprotagonista del film, è omosessuale e chi ha visto il film sa come va a finire. Per troppo tempo è mancato un modello positivo in cui le persone LGBTQIA+ potessero rispecchiarsi e identificarsi.
Sarà Ettore Scola a fare il film più bello mai fatto sull’omosessualità maschile, sto parlando del capolavoro Una Giornata Particolare del (1977) dove la casalinga Sophia Loren si innamora del vicino di casa, un conduttore radiofonico che per il suo orientamento sessuale inviso al regime, verrà deportato all’isola di Ventotene. Quando il Duce diceva che in Italia non ci sono omosessuali, in realtà ometteva di dire che c’erano eccome ma li nascondevano nelle isole. Ventotene e le Tremiti le mete preferite per il confino.
C’è poi Dimenticare Venezia (1978), di Franco Brusati, film decadente e di maniera Viscontiana, in cui il rapporto amoroso di Nicky col suo giovane compagno Picchio, viene descritto in maniera naturale, non risparmiando diversi nudi maschili, fatto inusuale per il cinema italiano, e c’è anche una relazione lesbica tra Mariangela Melato ed Eleonora Giorgi.
Segue Ernesto (1979), di Salvatore Samperi, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico e incompiuto del poeta triestino Umberto Saba. La maggior parte di questi film si concentrano sull’omosessualità o sulla bisessualità maschile, mentre il lesbismo e la transessualità sono stati presi in considerazione meno frequentemente, ma ecco finalmente che qualcosa si muove con: Immacolata e Concetta, un film del 1980 diretto da Salvatore Piscicelli, che vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, con Ida di Benedetto.
Molte le commedie di quegli anni come La Patata Bollente, film del 1979 di Steno, nel quale Edwige Fenech e Massimo Ranieri si contendono il cuore di Renato Pozzetto, operaio comunista convinto eterosessuale ma colpito da quel ragazzo così dolce, al punto di difenderlo in un pestaggio di natura omofoba.
Poi c’è stato Pasquale Festa Campanile (già sceneggiatore con Visconti e Bolognini) regista di Culo e Camicia (1981), dove Renato Pozetto vive col suo compagno Leopoldo Mastelloni fin quando non ha un incidente d’auto (sic!) e si innamora di una donna. In Nessuno è Perfetto (che cita la famosa battuta finale del capolavoro di Billy Wilder A qualcuno piace caldo), dello stesso anno, è ancora Renato Pozzetto che si innamora di Ornella Muti, una donna transessuale (particolarmente convincente, va detto) ex paracadutista dell’esercito tedesco. Segue Più bello di così si muore (1982) dove Enrico Montesano è costretto a prostituirsi in vesti femminili e finisce per scoprire che la cosa non gli dispiace affatto.
Nel frattempo sono nati numerosi festival in tutto il mondo dedicati a premiare i migliori film a tema LGBTQIA+. Il festival Da Sodoma a Hollywood di Torino (oggi -ahimé- ribattezzato Lovers film festival) già dal 1986 ha contribuito non poco a mostrare la miglior produzione di film a tematica queer e a creare una comunità. Gran parte di questi film si soffermano maggiormente su questioni riguardanti il coming out o l’omosessualità adolescenziale, e cercano di aiutare molti giovani, nella stessa situazione, ad accettarsi e ad uscire allo scoperto.
Un altro bel film degli anni ’80 è Gli occhiali d’oro (1987), di Giuliano Montaldo, adattamento dell’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, che racconta la triste storia di un dottore ferrarese di mezza età costretto a nascondere la propria affettività nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale (dove viene citata anche la scena della doccia di Rocco e i suoi fratelli).
Giuseppe Bertolucci, fratello più simpatico di Bernardo, nel 1987 realizza un film molto interessante e delicato su un’amicizia tra donne che sfocia in qualcosa di più: Amori in corso. Due anni dopo, il bel Mery per sempre (1989), di Marco Risi, che narra la vicenda di una giovane transessuale (finalmente!). Negli anni novanta il regista Pappi Corsicato tratta il tema dell’omosessualità in film quali Libera, o I buchi Neri, con il tipico tocco surreale dell’autore napoletano.
Ma è merito del regista turco-italiano Ferzan Ozpetek (e del suo co- sceneggiatore Gianni Romoli), il quale ha realizzato tutta una serie di opere il cui comune denominatore è l’amore omosessuale, se questo ormai diviene una cosa non più di settore, ma per tutti. Film come Le fate ignoranti (2001), La finestra di fronte (2003), Saturno Contro (2007) hanno definitivamente reso l’omosessualità una cosa accessibile e non “scandalosa”. Certo, si potrebbe obiettare che le vicende messe in scena, con pescivendoli che leggono poeti turchi e abitano in loft che sembrano usciti da riviste di arredamento shabby chic e signorine borghesi che devono fingersi proletarie, non siano così verosimili, ma poco importa, se il senso era quello di “sdoganarci” (mi si passi il termine terribile) ci è riuscito perfettamente, tanto che i suoi film corrono a vederli davvero tutti.
Negli ultimi vent’anni nel cinema italiano i personaggi LGBTQIA+ sono diventati via via più numerosi, sia in ruoli di comprimario che di protagonista. Con Il più bel giorno della mia vita (2002) Cristina Comencini racconta una storia di omosessualità borghese. Qualche anno dopo, la stessa regista gira La Bestia nel cuore (2005) dove a latere della storia principale c’è la storia d’amore tra due donne, di cui una non vedente, la bella e brava Stefania Rocca. Ne Il Caimano (2006), di Nanni Moretti, scopriamo a metà film che Jasmine Trinca è lesbica, ma ci sono anche storie incentrate su coming out e accettazione, come nei film Diverso da chi? (2009) con la coppia inedita Luca Argentero e Claudia Gerini. Nello stesso anno Donatella Maiorca dirige Viola di Mare, con Valeria Solarino e Isabella Ragonese, che ha una forte valenza sociale essendo ambientato nella Sicilia del 1800, Come non detto (2012) sulla difficoltà di dirlo ai propri genitori quando questi proprio non lo vogliono sapere. Nella commedia Scusate se esisto! (2014), con Paola Cortellesi e Raul Bova, lei è un’ architetta e chiede ad un amico gay di aiutarla, in Io e lei (2015) la figlia di Ugo Tognazzi, Maria Sole, firma la regia e cita il film con suo padre, Il Vizietto, questa volta però con la coppia lesbica Margherita Buy e Sabrina Ferilli. Anche l’attrice Veronica Pivetti esordisce dietro la macchina da presa con un film che affronta il tema del coming out in famiglia e del bullismo a scuola, Né Giulietta né Romeo (2015).
Più di recente abbiamo visto Croce e Delizia (2019), con Jasmine Trinca e Filippo Scicchitano, Maschile Singolare (2021) sui patemi amorosi di un giovane gay, Il signore delle formiche (2022) di Gianni Amelio (ancora permeato di quell’omofobia introiettata in molti omosessuali che è difficile da estirpare) e Settembre (2022), bellissimo debutto dietro la macchina da presa di Giulia Steigerwalt, già attrice e sceneggiatrice, dove l’omosessualità femminile arriva in punta di piedi e si afferma per quello che è: né più né meno che amore.
Ma non illudiamoci, la strada è ancora lunga. E anche se oggi abbiamo la percezione di essere più rappresentati (purtroppo i dati dicono altro), ricordiamoci che ogni battuta volgare detta nelle commedie di Natale, ogni doppio senso nei seguitissimi show televisivi da prima serata, ricade sulla nostra pelle.