Il 21 ottobre 2017 partecipavo al mio primo incontro del Gruppo Giovani al Circolo Mario Mieli: avevo 22 anni, mi sentivo microscopica e avevo una paura fottuta di darlo a vedere.
E’ trascorso un po’ di tempo e, nel mentre, sono passata dall’altra parte. Adesso sono io ad accogliere piskellett3 spaventat3 in cerca di spazi sicuri, amichevoli e, soprattutto, queer.
Oggi mi separa a volte un decennio dall’utente medi3 del gruppo. Rivedo in loro tante delle mie stesse paure ma anche quella consapevolezza sfacciata, e profondamente vera quando sei piccol3, di avere in mano tutte le carte per poter cambiare le regole di come va il mondo.
Mi fa sorridere l’idea di parlare di loro, l3 piskell3, come qualcosa di avulso da noi trentenni.
Se però mi fermo a riflettere sull3 ragazz3 che ho il piacere di conoscere al Gruppo mi rendo conto che c’è in loro un nuovo modo di fare comunità, dal quale possiamo tutt3 imparare tanto.
L3 giovanissim3, nat3 nell’era digitale, hanno conosciuto se stess3 e l’altr3 con mezzi meno statici dei nostri. Noi eravamo legat3 a qualche forum o quella sporadica serie tv che raccontava un unico modo di non essere etero (il modo nello specifico, ça va sans dire, era essere un uomo bianco, cis, gay, benestante e volutamente macchiettistico).
Loro sono invece cresciut3 negli spazi queer dell’internet, dove lo share e il pudore della televisione non arrivano. E così sono nate comunità, fiorite culture, subculture e lettere, tante tante lettere.
A noi, cresciut3 con il nostro bellissimo e inamovibile LGBT, questa cosa fa sempre un po’ arrabbiare. Ci sentiamo forse privat3 di quella parvenza di normalità per la quale abbiamo lottato con le unghie e con i denti.
Il punto forse però è proprio questo: all3 piskell3, della “normalità” imbellettata, che hanno venduto alla nostra generazione, non importa proprio nulla.
La sensazione che ho, confrontandomi con loro, è che siano passat3 dalla nostra stanchezza nei confronti di un quotidiano ciseteronormato per poi arrivare ad una rabbia viscerale, più simile a quella che si incontrava agli esordi delle lotte della nostra comunità.
La meraviglia di queste nuove menti sta anche nella creatività di affrontare le lotte: non può esistere più, al giorno d’oggi, la lotta queer senza quella transfemminista, antirazzista, per il clima e per qualunque istanza non rispetti la vita, umana e non. L3 ragazz3 lo sanno bene e questa loro consapevolezza l3 porta ad essere molto più politicizzat3 di quanto non lo fossimo noi alla loro età. Hanno i mezzi e sanno come usarli. Conoscono le parole per comunicare ciò che sentono. E se per quello che sentono la parola non esiste, nessun problema: la creano. Con questo processo di tessitura di legami intersezionali e di arricchimento del vocabolario della nostra comunità, stanno gettando le fondamenta per creare quel cambiamento di cui abbiamo veramente bisogno. Cambiare il mondo, però, costa e ha un prezzo. Mentre l3 piskell3 corrono veloce, la società fa fatica a stare loro dietro. A dirla tutta, tenta, con stizza, anche di fare loro lo sgambetto.
Nei miei ultimi anni da moderatrice ho notato, proporzionalmente alla grandissima consapevolezza di queste giovani persone, anche tantissimo dolore. Non solo la salute mentale è diventata un topic reale ed ampiamente discusso, ma purtroppo anche una questione quotidiana per molt3 di loro. Mi chiedo se sia proprio questa doccia fredda di realtà, per noi forse avvenuta a piccole dosi, che sta portando tant3 a necessitare a volte di più di un semplice supporto psicologico. Mi domando se ci sia stato qualcosa che avremmo potuto fare diversamente per spianare loro la strada. Forse questa stessa domanda se la pone ogni generazione guardando quella che la segue.
Mi piace pensare, però, che gli spazi come quello del Gruppo Giovani facciano da comoda poltrona per le loro gambe stanche di correre; da tisana calda per le loro gole stanche di urlare. Spero davvero che quelle due ore che passiamo tutt3 insieme possano essere per loro un breve “cessate le armi”, un attimo per guardarsi attorno e ricordarsi che non sono sol3.
In sintesi, ecco quello che ho capito dell3 piskell3: se sapremo ascoltarl3, ci spiegheranno davvero come va cambiato il mondo. E potremo aiutarli a farlo.