Anche grazie alla popolarità che Michela Murgia ha raggiunto col suo coming out relativo al tumore che l’ha uccisa anzitempo, oggi l’enciclopedia Treccani include la voce “Famiglia Queer” definita come una “Comunità di persone che, indipendentemente dal genere d’appartenenza o dall’orientamento sessuale, vivono insieme per scelta e sono legate da affinità affettive, sentimentali e dalla condivisione delle attività.” A ben guardare, però, le famiglie queer nel nostro Paese sono sempre esistite anche prima che questo nome venisse creato.
Uno degli esempi più belli e militanti ebbe origine proprio a Roma, tra le persone del gruppo dirigente del Circolo di cultura omosessuale “Mario Mieli” della seconda metà degli anni ‘80: Francesco Gnerre, Giorgio Gigliotti, Vanni Piccolo, Andrea Pini e Marco Sanna, fra i molti altri. Così, quando Aut mi ha chiesto di intervistare alcuni di loro, ho subito accettato, considerandolo come un onore e come un’occasione da non perdere per sapere di più su quella “comune frocia” che seppe accompagnare Marco Sanna (1956 – 1990) negli anni migliori e peggiori della sua purtroppo breve vita: sarebbe morto di Aids sei anni prima circa dell’introduzione sul mercato italiano dei farmaci anti-retrovirali, quando lo scoprirsi sieropositivi all’Hiv segnava una sorta di condanna a morte.
L’intervista tripla (Vanni Piccolo non ha potuto intervenire per un contrattempo) si è svolta nell’elegante appartamento di Roma Ostiense di Francesco Gnerre, forse il più grande critico letterario della comunità LGBTQIA+ italiana. Conosco Francesco (classe 1944) dall’altro secolo e lo considero un maestro, oltre che un amico. Gli voglio bene al modo mio: timido, discreto. Ho letto quasi tutti i suoi libri e sono uno dei pochi in Italia a collezionare tutte le edizioni del suo immarcescibile L’eroe negato. Omosessualità e letteratura nel Novecento italiano (1981, 2000, 2018), testo che fece epoca quando apparve e continua a segnare il punto di partenza e d’avanguardia nello studio dell’omosessualità nei personaggi letterari italiani fino ai nostri giorni. Di fronte a lui, seduti sul divano e su una poltrona, ci sono i suoi due amici fraterni (o dovrei dire sorerni?), Andrea Pini e Giorgio Gigliotti, dietro due affettuose mascherine FFP2, messe per via di un raffreddore che non vogliono trasmettere a Francesco. Anche Andrea e Giorgio sono due pezzi da novanta della intelligencija controcorrente italiana non solo arcobaleno: Andrea è, fra gli altri, l’autore di Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta (Il Saggiatore, 2011), capolavoro di sociologia del costume. Giorgio invece è l’autore di Islamitudine, una delle più poetiche e complete trilogie sul mondo islamico del Nord Africa, dove Giorgio ha vissuto per quasi un decennio.
La prima domanda è quasi obbligata:
Allora, come nacque la vostra famiglia Queer con Marco Sanna?
Risponde Giorgio Gigliotti, sorridendo: “La famiglia Queer ce l’eravamo costruita: Vanni (oggi 83 anni) faceva la mamma, le figlie eravamo Andrea, Giorgio e Marco. Francesco era il padre… scappato di casa! Le figlie erano tutte prostitute. Anche la mamma era prostituta: lei ci aveva insegnato il mestiere. Raffaele Anello – un altro loro amico, ndr – abitava a Roma con Marco ed era la nipotina, e Vanni allora diventò la nonna, ma non bisognava dirglielo perché si arrabbiava.”
Sì, anche mia mamma non ha mai gradito esser chiamata “nonna” dalle nipotine… cose da signore di altra epoca! Ma la famiglia d’origine di Marco Sanna dove si trovava? C’era ancora? Lui era sardo, no?
Francesco Gnerre: “Sì, era sardo di Anela, in provincia di Sassari. La famiglia si era poi trasferita ad Aprilia, nel basso Lazio. Ad Aprilia aveva fatto le scuole, ma il liceo l’aveva frequentato a Nettuno. Ad Aprilia vivevano e vivono ancora le due sorelle, Felicita e Caterina, che lo avrebbero accolto quando lui seppe di esser malato di Hiv. Noi gli abbiamo detto ‘scegli tu, se vuoi rimanere a Roma, noi ci siamo. Se vuoi andare ad Aprilia dalla tua famiglia, comprendiamo anche questa voglia’. Lui disse ‘per carità, voglio restare a Roma’. E così siamo stati noi a costituire la sua nuova famiglia, in accordo con le sorelle, va detto. Le sorelle, poi, sono diventate amiche nostre.”
Quando veniste a sapere da Marco Sanna della sua condizione di sieropositivo? Ve lo disse lui?
Pini: “Sì, con Marco noi condividevamo tutto, eravamo molto vicini. Ce lo disse subito, prima che alle sue sorelle che furono coinvolte solo dopo la prima ospedalizzazione, nel 1988. Scelse di non dirlo pubblicamente, cosa che colpì alcune persone.”
Abbastanza comprensibile, per quei tempi: penso a Pier Vittorio Tondelli, che non lo disse mai e ancora oggi la sua famiglia nega l’evidenza parlando di ‘morte per polmonite bilaterale’, tecnicamente corretto. O a Freddie Mercury, che lo disse proprio all’ultimo. Lo stigma era atroce, all’epoca.
Pini: “Sì, infatti. Esisteva un forte legame fra noi. Avevamo una condivisione di vita, ma anche di scelte politiche. Avevamo dato vita, insieme ad altri ovviamente, al Circolo di cultura omosessuale ‘Mario Mieli’. Il Circolo cominciò subito a impegnarsi sul tema dell’Aids e per l’aiuto alle persone sieropositive o ammalate.”
Quando seppe di essere sieropositivo? Come stava?
Pini: “All’inizio Marco stava bene. È risultato positivo nel 1985. Poi si è ammalato verso il 1988. Da quel momento ha cominciato a porsi il problema e noi subito gli siamo stati accanto. La cosa interessante e drammatica insieme è che dento al Circolo stavamo mettendo in piedi un servizio di assistenza domiciliare a persone Hiv+ e praticamente Marco fu il primo assistito del Circolo.”
Per altro: come nacque la scelta di dedicare il Circolo a Mario Mieli e non, per dire, a Pier Paolo Pasolini, che di certo era allora più famoso a livello nazionale, e aveva legato gran parte della sua vita a Roma?
Pini: “Pasolini era per noi del movimento un esterno. Un’altra generazione. Mieli era perfettamente interno al movimento omosessuale gay italiano, e il suo Elementi di critica omosessuale aveva portato il discorso sull’omosessualità ad un livello alto e rivoluzionario, rompendo un tabù (era il 1977) fino ad allora mai affrontato: per la nostra generazione era una bibbia.”
Gnerre: “Pasolini era come Visconti, come Zeffirelli. Ne parlavano [di omosessualità], non potevano non parlarne, ma non assumevano mai posizioni pro-omosessuali.”
Anzi. Ma torniamo alla scelta del nome del Circolo a Mieli.
Gnerre: “La genesi del nome venne da una riunione lunghissima alla sede di Largo di Torre Argentina del Partito Radicale che ci ospitava. C’era stato a Roma l’assassinio di Salvatore Pappalardo, era il 1982. L’idea di creare un circolo a Roma che raccogliesse il portato del F.U.O.R.I.! (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano, che nel 1982 si sciolse), e del NARCISO (collettivo universitario nato negli anni precedenti alla Sapienza e dentro ci lavoravano persone come Marco, Porpora Marcasciano e altri, poi confluiti nel Mieli). Mettiamo tutto insieme a Roma. L’idea era di intitolare il circolo a Salvatore Pappalardo, l’ultima vittima di un’aggressione omofoba a Montecaprino, ma c’erano dubbi a riguardo”.
Pini: “Nel frattempo Mieli si era suicidato.”
Gnerre “Sì. Ugo Bonessi fece la proposta di intitolarlo a Mario Mieli e fummo subito tutti d’accordo. Io avevo conosciuto Mario Mieli a Roma dopo lo spettacolo La traviata Norma. Andai a congratularmi con gli attori, primi anni 80.
Qual era la funzione del Circolo Mario Mieli in quei primi anni 80? Vi battevate contro l’Aids ma anche contro lo stigma, giusto?
Gigliotti: “Quando più tardi, nel 1991, nacque Mucca, al Castello, entravano tanti soldi e tutti quei soldi andavano all’assistenza domiciliare ai malati.”
Pini: “Sì, lo stigma era terribile. C’era una pressione sociale contro la malattia e contro i malati.”
Era ancora prima della campagna pubblicitaria del ministero della Salute con il tremendo ‘alone viola’, del 1990, vero?
Pini: “Sì, prima. Semplicemente di Aids non si parlava da nessuna parte a livello istituzionale. Ne parlavamo noi, anzi, facevamo militanza noi contro lo stigma e la malattia. Organizzavamo prelievi [del sangue] protetti, anonimi, prima della legge sull’Aids.
Gigliotti: “Fummo i primi a fare uno screening contro l’Aids.”
Pini: “Fummo contattati dall’Istituto superiore di sanità, che ci coinvolse in un esperimento. Fummo la coorte di controllo con i dottori Rezza e Ippolito, che allora erano i giovanissimi medici responsabili. Erano anni in cui l’Hiv non era stato ancora identificato! Il test Elisa (il primo test di immunoassorbimento enzimatico per valutare la positività di un paziente all’Hiv: una tecnica biomolecolare oggi molto diffusa, che consente di misurare la presenza di anticorpi all’Hiv nel sistema immunitario di una persona, ndr) è del 1985. Noi nel 1984 ogni qualche mese andavamo allo Spallanzani vecchio, nei cessi, a farci le seghe perché dovevamo dare lo sperma per vedere se ci fosse un virus.”
Immagino la vostra allegria.
Gnerre: “Io abitavo a San Lorenzo e portavo lo sperma a San Lorenzo. C’era un centro lì.”
Pini: “Insomma, venne fuori che due terzi del direttivo del Mieli di allora era positivo.”
Chi ne fu toccato, se posso chiedere?
Pini: “Il nostro primo presidente, Bruno Di Donato, è morto di Aids. Sono morti Marco Sanna e Marco Bisceglia, prete sospeso a divinis perché apertamente omosessuale e che era stato tra i fondatori del primissimo Arcigay a Palermo e poi tra i fondatori del Mieli. Poi Marco Melchiorri, uno dei militanti più attivi. E troppi altri.
Gigliotti: “Quei primi test ci dettero anche qualche errore, qualche falso positivo. Ero in Calabria con l’epatite, tornai a Roma e trovai Vanni, che era l’unico autorizzato a dare i risultati dei test, mi disse ‘Sei sieropositivo’ e mi crollò il mondo addosso. Ma io avevo fatto il test da pochissimo in Calabria ed era negativo. Quindi poi fortunatamente sono risultato negativo.”
Tornando a Marco Sanna, quando ha cominciato ad avere bisogno della vostra assistenza e presenza?
Gigliotti: “Con l’avanzare della malattia Marco ha cominciato a perdere la vista, non poteva più guidare. Ti ricordi – si rivolge ad Andrea – quando si ruppe il braccio a quella festa? Siamo andati a una festa a un casale di un nostro amico, una festa di carnevale. Io ero vestito da Cicciolina, Andrea da vibratore e Marco da fatina: si alzava una gonna e aveva sotto una gatta in peluche pelosissima. Sfiga vuole che era bagnato per terra, Marco cade male e si rompe un braccio. Quindi vestiti così andiamo al Pronto soccorso del San Giovanni. Noi tre vestiti in questo modo carnevalesco seduti in panchina nella sala d’attesa. Ogni tanto passava un medico, ci guardava e si bloccava. E noi tranquille, a far finta di nulla. A Marco comunque misero il gesso al braccio quindi anche per metterlo a letto, nei giorni successivi, bisognava andare ad aiutarlo per svestirlo.”
Pini: “Quando le cose sono andate peggiorando abbiamo fatto un vero e proprio calendario, con 10-12 persone che si alternavano andando a casa o all’ospedale.”
Gnerre: “Una volta siamo andati a vedere un film, ma lui diceva che non gli piaceva, che era tutto buio… In realtà non vedeva più bene.”
Ecco, quindi la vostra presenza non era ‘solo’ dal punto di vista dell’assistenza e della cura.
Pini: “Ma no, ovviamente. Noi eravamo un gruppo di amici e facevamo tutto il possibile anche per divertirci. Nei momenti in cui Marco stava bene la sera andavamo a rimorchiare, la domenica facevamo delle gite fuori Roma. Oppure andavamo a trovare ‘le cugine di campagna’: Lillo e Claudio, che abitavano a Sutri, quindi in campagna vera. Diramazioni multiple della famiglia, insomma.”
Ridendo chiedo: Ma in questa famiglia queer ante-litteram c’erano anche molti ‘incesti’?
Pini: “No, cercavamo di scopare all’esterno della famiglia. Non ci piacevano gli incesti! Scherzi a parte, abbiamo cercato di sostenere la sessualità in tutti i modi: per noi la sessualità era un valore, il Circolo era libertario. Il gioco divenne complicatissimo perché da una parte bisognava proteggere le persone Hiv+ dallo stigma, ci siamo impegnati a fondo per la diffusione e l’uso del preservativo, ma volevamo anche salvare l’idea della bellezza della sessualità.”
Com’erano i rapporti con Franco Grillini, all’epoca presidente di ArciGay e già noto a livello nazionale?
Pini: “Il rapporto con Grillini è stato inizialmente conflittuale.”
Gnerre: “Grillini portava avanti l’idea dell’omosessuale in doppiopetto, che a noi non piaceva.”
Pini: “Grillini voleva risultare accettabile alle istituzioni, mentre noi volevamo essere liberi di esprimere le nostre idee anche quando risultavano scomode e controcorrente. Va detto che il rapporto nel tempo si è recuperato, ci siamo trovati molto vicini per varie questioni. Ma all’inizio no. Anche il modo in cui Arcigay si aprì alle donne non ci era piaciuto, tutto calato dall’alto. Il Circolo ha provato ad aprirsi alle donne lesbiche in modo più spontaneo. La prima donna ad avere un ruolo nel Mieli è stata Rosaria Iardino che divenne anche vice-presidente, intorno al 1987-88. Venne come persona sieropositiva, più che come donna lesbica.”
Rosaria Iardino la ricordo per il famoso bacio dato in Tv, al Costanzo Show, all’immunologo Ferdinando Aiuti. Fece scalpore e servì molto a sfatare il mito della pericolosità dei sieropositivi. Torniamo a Marco Sanna: chi era, che tipo era? Ho visto delle sue foto. Foto molto belle. Fatemi conoscere Marco con le vostre parole.
Gigliotti: “Marco era un gran catalizzatore. Era una personalità del movimento.”
Pini: “Al di là delle cariche formali (il direttivo: presidente, vicepresidente, segretario) all’interno del Circolo non c’erano specializzazione esclusive. Marco era soprattutto un’anima politica, lanciava molte proposte, era tanto creativo.”
Gigliotti: “Francesco Simonetti era segretario del Circolo ma anche DJ a Mucca. Non c’erano ruoli o vite separate, eravamo un tutt’uno. È stata anche la forza del nostro gruppo.”
Pini: “È stato un periodo interessante, intenso, drammatico, perché noi ci occupavamo dell’assistenza di Marco dal punto di vista amicale, ma anche stavamo costruendo il primo servizio di assistenza domiciliare a Roma e forse in Italia per malati di Aids. Il Circolo aveva ricevuto i primi finanziamenti arrivati dalla Regione Lazio. L’abbiamo nominato poco ma Vanni Piccolo fu una figura importante di quegli anni: seppe fare un lavoro politico importante, collegandoci con le istituzioni. I primi finanziamenti della Regione vennero grazie a lui. Nel frattempo ero diventato presidente del Circolo perché Vanni divenne preside di scuola e fu trasferito a Parma. Con quei soldi che Vanni ci aveva fatto ottenere potemmo mettere in piedi una segreteria, nacque l’assistenza domiciliare, il primo centro di assistenza psicologica, il gruppo di auto-aiuto per persone sieropositive.”
Gigliotti: “Marco era una persona divertentissima, autoironica, il primo a scherzare sulla sua malattia. Di un carisma… Marco nel nostro gruppo era quello che, di fondo, teneva tutti uniti.”
Pini: “Sì, aveva una grande facilità di socializzazione con tutti, sempre con la battuta pronta, molto umano, capace di ammaliare tutti, dalle donne ai gay, ai ragazzotti da scoparsi, cadevano tutti ai suoi piedi perché riusciva a mettere il sorriso giusto per affascinare, era intelligente, era arguto…”
Un vero catalizzatore.
Gigliotti: “Guarda, anche quando lui stava male, era comunque la persona con cui ci si divertiva. Una volta lo stavo accompagnando per fare dei controlli in ospedale. Erano venuti Gorbaciov e Raissa a Roma (probabilmente era il 1989, ndr), noi in giro con la 500 e dappertutto c’era polizia. Noi dalla 500 con Marco che giocava a fare Raissa e salutava tutti i poliziotti con la mano dal finestrino… e stavamo andando all’ospedale a fare i controlli per la sua malattia, capisci? Sapeva farsi amare.”
Pini: “A me faceva anche incazzare perché lui mi soffiava sempre il ragazzo che piaceva a me… gli tenevo il muso per tre giorni!”
Gigliotti: “Poi c’erano gli amanti di Marco da Aprilia: erano “I mariti di Aprilia!”.
Come mai decideste di dedicare a Marco il centro di documentazione, la biblioteca del Mieli di oggi?
Pini: “Quando morì Marco, lui aveva espresso il desiderio di donare i suoi libri e così nacque il Centro di documentazione Marco Sanna.”
Che pensiero dolce. Farebbe piacere anche a me donare la mia biblioteca GLBTQ+ al Mieli quando non ci sarò più. Marco era cambiato negli ultimi tempi, quando comprese che non sarebbe sopravvissuto?
Gigliotti: “No, ma non sono mancati i momenti malinconici. Una volta disse, bloccandosi: ‘Come avrei voluto vedere come saremmo diventati tutti da vecchi’.”
Pini: “Era molto interessato alla politica, ai cambiamenti, al progresso dei diritti. Una sua frase che ricordo fu quando disse ‘Mi dispiace non poter vedere come va a finire’. Era il 1990.”
Il sole è tramontato dietro al gazometro. Penso che potremmo andare avanti ore a parlare di Marco Sanna e degli inizi del Circolo Mario Mieli, ma in fondo la cosa migliore è lasciare l’ultima parola proprio a Marco e al suo desiderio di voler vedere come va a finire.