Che cos’è effettivamente un tabù? Il tabù è uno strumento sociale che viene utilizzato per controllare le persone (alla fine è sempre una questione di potere) e riesce ad essere così efficace e capillare all’interno di un gruppo sociale grazie alla sua natura infettiva: chiunque entri a contatto con ciò che consideriamo tabù lo diventa a sua volta. Diventare tabù significa ricevere uno stigma, disubbidire ad un sistema, diventare il mostro. E nessuna persona vuole essere il mostro.
Spesso pensiamo che se siamo in grado di nominare un tabù e magari anche di descriverlo, allora saremo anche in grado di controllarlo. Che basti conoscerne le cause e l’origine per farlo andare via per sempre. Eppure sappiamo benissimo per esempio che la comunità LGBTQIA+ che è costretta ancora oggi ad attraversare il tabù nella società in cui ci troviamo, non riesce ad essere così libera e inclusiva come dovrebbe. Questa credenza infatti è troppo superficiale e ci fa credere che un tabù sia una sorta di divieto e che una volta smascherato e affrontato si possa essere magicamente delle persone libere. Ma questa purtroppo è solo una bella storiella che però nasconde una realtà fatta di paura e controllo.
Che cos’è effettivamente un tabù? Ciò che rende l’antropologia, come tutte le altre scienze umane, così efficace è che si pone tutte le domande, anche le più banali a cui chiunque pensa di poter dare una risposta, ma quando poi effettivamente ci soffermiamo a riflettere, ci rendiamo sempre conto che la questione è sempre più complicata. Semplificando molto potremmo dire che il tabù è, sì, un divieto nella sua forma più estrema, ciò che non può essere né toccato né nominato (proprio come Voldemort), ma questa non è la sua unica caratteristica.
Il tabù è uno strumento sociale che viene utilizzato per controllare le persone (alla fine è sempre una questione di potere) e riesce ad essere così efficace e capillare all’interno di un gruppo sociale grazie alla sua natura infettiva: chiunque entri a contatto con ciò che consideriamo tabù lo diventa a sua volta. Pensiamo al sesso, sappiamo benissimo che nella nostra società è considerato un tabù; più ne facciamo, più ci avviciniamo ad esso e più ne veniamo infettati e ne subiamo le conseguenze.
Diventare tabù significa ricevere uno stigma, disubbidire ad un sistema, diventare il mostro. E nessuna persona vuole essere il mostro. E’ la paura a rendere questo divieto così efficace. Ce lo racconta splendidamente Foucault in più di una delle sue opere: non è la punizione di per sé a generare il controllo sugli individui, bensì il terrore di riceverla in qualunque momento.
La comunità LGBTQIA+, in tutte le sue infinite sfumature, nonostante sia già considerata disubbidiente all’interno della nostra società, non riesce nemmeno al suo interno a liberarsi del tabù perché ha paura. Il tabù è così ben radicato nella nostra cultura e nell’educazione che abbiamo ricevuto che è riuscito a generare una crudele lotta tra poveri. Le persone omosessuali invisibilizzano le persone Bi perché “indecise” e discriminano le persone trans perché sono “più disubbidienti” di loro. E per lo stesso motivo le persone trans invisibilizzano le persone non binary. Insomma, tutte le persone odiano tutte le persone e poi odiano pure se stesse perché sono disubbidienti, poiché hanno la colpa di vivere la loro vita come loro stesse.
Pensiamo ad una figura straordinaria come Alok Vaid-Menon, gender non conforme e con una espressione di genere che rispecchia a pieno la sua identità: corpo di sesso maschile, spesso con peli e barba mai celati, vestiti lunghi e trucco. Nonostante i suoi scritti, la sua poesia e tutta la sua vita siano un inno alla ricerca della propria individualità, scevra da qualsiasi costrizione e tabù, la comunità LGBTQIA+ fa ancora difficoltà a comprendere la libertà che Alok Vaid-Menon possiede nel raccontare e vivere la sua identità. Perché dovrebbe esprimere il proprio genere con tratti espressivi tipicamente maschili e femminili? Dovrebbe sceglierne uno. Il tabù ci insegna a identificare “l’altro”, “lo strano” in qualsiasi gruppo e allontanarlo subito, per paura di diventare a nostra volta tabù.
Purtroppo tutto gira ancora attorno ad un’unica narrazione che racconta l’uomo di sesso maschile che sta con una donna di sesso femminile in una relazione monogama e allosessuale, il che significa che le due persone possono fare sesso (ma non troppo) dove la penetrazione è sempre protagonista. E il tabù ci porta a credere che più ci allontaniamo da questa narrazione che ci è stata imposta, e più siamo persone disubbidienti, sbagliate, cattive.
Come abbiamo detto prima, l’antropologia pone sempre domande molto elementari, ma sono proprio le domande che non ci vengono poste all’interno della nostra società. Chi voglio essere? Come voglio vivere? Come voglio costruire il mio rapporto con le persone che amo o a cui voglio bene? Affrontare un tabù significa non solo avere il coraggio di disubbidire, ma anche avere la forza di rispondere a queste domande.
Quando si parla dell’abbattimento di un tabù, solitamente l’immagine che ci viene in mente è quella di un muro che viene distrutto e che rivela un orizzonte invitante e che profuma di libertà. Non è così. Abbattere un tabù significa tuffarsi di testa da un trampolino di venti metri nella più totale oscurità. Vuol dire liberare la mente da tutte le paure, rompere tutti gli schemi per compiere un atto di coraggio verso l’ignoto, qualcosa che ancora non conosciamo perché non c’è ancora. Rispondere a quelle domande significa imparare a conoscersi veramente e onestamente, saltare con la consapevolezza che non si può tornare indietro. Ecco perché conoscere l’origine o le motivazioni di un tabù non significa averlo superato. Saltare e sapere di dover saltare sono due cose completamente diverse.
Nonostante questo articolo complichi le cose non penso che dipinga uno scenario più negativo. Comprendere la natura diabolica del tabù ci permette di capire meglio non solo noi stessi, ma anche le persone attorno a noi. Ci permette di vedere la nostra e la loro paura e di come essa influenza il comportamento di chiunque. Forse la consapevolezza di sapere che in fondo siamo tutte persone spaventate sarà proprio ciò che ci permetterà di avvicinarci e di unire le forze.
Nessuna persona ha mai detto che per tuffarsi bisogna essere soli.
[Foto di Blake Wheeler]